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Kurdistan

La guerra dei trent’anni in Medio Oriente

Il giornalista Rauf Karakocan confronta l’attuale situazione di conflitto in Medio Oriente con la Guerra dei 30 anni in Europa e spiega perché proprio nel caso del Qatar il conflitto raggiunge un nuovo livello. Alla fine in base all’esempio della terza via dei curdi mostra prospettive per il superamento della“Guerra dei trent’anni in Medio Oriente”

La guerra dei trent’anni è iniziata come guerra di religione e si è sviluppata in una guerra egemonica per il predominio nel Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca e in altre parti d’Europa. Finalmente ha trovato la conclusione nella fondazione del sistema di Stati europeo. Si parla della guerra dei trent’anni che tra il 1618 e 1648 ha portato paura e spavento nel continente europeo. Con la pace della Vestfalia che ha segnato la fine della guerra, l’Europa ha un nuovo ordine politico la cui base doveva essere lo Stato Nazione nella sua forma pura. Luigi XIV, uno dei vincitori della guerra dei trent’anni, ha colto il punto del nuovo modello di società con le seguenti parole: “L´État, cèst moi” (Lo Stato sono io!). Da allora in avanti lo Stato assolutista ha dominato l’Europa.

Anche in Medio Oriente attualmente si sta diffondendo un conflitto che nella sua natura ricorda molto la guerra dei trent’anni in Europa. Per molti anni la regione è stata tenuta in scacco da un conflitto che si sviluppava lungo la linea di separazione sciita-sunnita. Ma ormai, e questo lo dimostra la crisi del Qatar, questo conflitto un tempo religioso, ha cambiato carattere. Ormai abbiamo a che fare con una guerra egemonica in Medio Oriente che non si può più spiegare solo come una lotta di potere tra un asse sciita e uno sunnita.

Perché il Qatar? E perché proprio ora?

Lo Stato Islamico (IS) è in larga misura sconfitto e nella regione non rappresenta più un pericolo serio. Per questo non sorprende che i centri di potere da tempo siano entrati in un conflitto per il proprio predominio. Gli USA, l’Europa, la Russia, l’Iran e altri attori attualmente cercano di allagare la loro sfera di influenza in Medio Oriente. Così i centri di potere importanti poco prima della fine delle operazioni contro IS a Mosul e Raqqa ora improvvisamente si scontrano in Qatar.

Il Qatar non è stato una scelta puramente casuale. In effetti si tratta di uno dei Paesi più ricchi del mondo. Per via dei suoi giacimenti di gas e di petrolio, il Qatar inoltre si è sviluppato in un importante centro di potere. Anche se lo Stato desertico a stento dispone di una propria forza militare e la maggior parte degli abitanti è di origine straniera, questo non impedisce alla guida del Paese di mostrarsi sicuro di sé sulla scena internazionale. Perché il Paese con i suoi investimenti esteri e il suo sistema bancario sviluppa un effetto di portata altrettanto grande quanto il suo dominio mediatico nella forma di Al-Jazeera che raggiunge persone in tutto il mondo arabo e oltre. La presenza di soldati statunitensi in Qatar viene considerato un fattore di protezione quanto l’apertura di una base militare turca all’interno dei confini nazionali. Con queste certezze alle spalle, il Qatar negli ultimi anni ha provato in modo più inteso a rafforzare la sua influenza nella regione attraverso il sostegno di diverse forze islamiste.

Ora le sanzioni contro il Qatar annunciate da Arabia Saudita, Bahrain, Emirati Arabi Uniti (EAU) ed Egitto possono risultare uno sviluppo sorprendente. Ma dietro questo passo ci sono conflitti che montano da tempo. Questi conflitti da un lato sono riconducibili alle relazioni tra il Qatar e l’Iran. Dall’altro sia l’Arabia Saudita che Israele erano disturbati dall’appoggio per Hamas. Anche il Presidente egiziano al-Sisi è disturbato dall’appoggio ai Fratelli Musulmani da parte della casa regnante qatariota. Gli aiuti finanziari per gruppi jihadisti in Siria da parte dello Stato desertico hanno poi in un certo qual modo fatto traboccare il vaso.

I due baroni della guerra Turchia & Qatar

La ragione principale delle sanzioni contro il Qatar sono motivate dal fatto che il Paese ha seguito relazioni diplomatiche e un corso di politica estera che andava di traverso alle abitudini del campo occidentale. Così si è cercato ad esempio di sviluppare una propria politica insieme con la Turchia attraverso il sostegno a gruppi armati. Il mettere insieme l’Esercito Siriano Libero (ESL) o la formazione dei cosiddetti Roj Peshmerga, che si compone di fuggiaschi del Rojava ed è stata fondata come presunta alternativa alle YPG, sono esempi per le unità paramilitari che erano fortemente sotto il controllo di Qatar e Turchia.

Il carattere della guerra civile siriana si è però sviluppato in modo tale che le contraddizioni e gli scontri si sono sviluppati insieme, mano nella mano. I rapporti di forza cambiavano quasi quotidianamente in modo tale che l’amico di ieri poteva rapidamente diventare il nemico di domani. La spirale di violenza in continua crescita in Siria ha molto a che fare con il carattere della guerra.

Se in questa sede vogliamo tornare al nostro paragone iniziale con la guerra dei trent’anni: il Sacro Romani Impero della Nazione Tedessca del Medio Oriente era rappresentato dall’Impero Ottomano. I principati cattolici e protestanti di quel tempo sono quegli Stati Nazione che sono nati dalla caduta dell’Impero Ottomano. La guerra cattolico-protestante invece, nel nostro paragone è rappresentata dal conflitto sunnita-sciita. Attraverso questi paralleli la situazione attuale in Medio Oriente appare come una versione attuale di un conflitto in Europa occidentale vecchio di 400 anni.

Attraverso le dinamiche interne gli interventi esterni, il Medio Oriente è entrato in una fase di dissoluzione delle strutture di Stato Nazione esistenti. Con questo fenomeno di dissoluzione si è arrivati al conflitto aperto tra gruppi religiosi che prima con la costrizione di un tetto statuale venivano tenuti sotto uno stesso tetto. La crisi del Qatar rappresenta una nuova tappa di questo conflitto profondo. Anche se nel Qatar non viene – ancora – condotta apertamente una guerra, gli effetti del conflitto toccano già la Turchia e l’Iran. Quindi abbiamo una situazione nella quale conflitti etnici e soprattutto religiosi in Medio Oriente rappresentano solo la parte pubblicamente visibile della medaglia. L’altro lato, non visibile a un primo sguardo, è rappresentato dalla posizione di predominio egemonico dei centri di potere. Il Qatar è la prova evidente di questo.

Il vero obiettivo è l’Iran?

La situazione di conflitto intorno al Qatar non si può capire senza il ruolo dell’Iran. Perché lo Stato iraniano si trova al centro di questo sviluppo. Alla potenza regionale sciita nel corso dell’ultimo anno è riuscito con sufficiente successo di aumentare passo per passo la sua influenza in Medio Oriente. Gli Stati arabi del Golfo, primo tra tutti l’Arabia Saudita, seguono questo sviluppo con grande disagio. Ma l’Iran è ancora lontano dalla sua meta. Si vogliono ad esempio unire i successi della milizia sciita Hashd al-Shaabi contro IS in Iraq con un’avanzata pianificata dell’esercito siriano in modo tale che attraverso questi due gruppi si apre per l’Iran un percorso fino al Mediterraneo. Per via delle ulteriori buone relazioni che Teheran ha con il Qatar e in base al sobillamento della maggioranza sciita in Bahrain contro la casa regnante sunnita, l’Arabia Saudita si è sentita messa così alle strette dal suo arcinemico, che ha dovuto agire. L’Iran per parte sua è ben preparato al conflitto con l’Arabia Saudita e ha creato unità paramilitari sotto il suo controllo all’interno della regione oltre i propri confini. Questo conflitto rispecchia sia la guerra di religione che quelle egemonica in Medio Oriente.

Contro la crescita dell’influenza iraniana ora si sono avvicinati gli USA, Israele e l’Arabia Saudita e mettono gli altri Stati della regione di fronte alla decisione di chiarire la loro posizione. Il Qatar qui è la prima vittima. La scelta di fronte alla quale si trova lo Stato desertico è la seguente: o rinunciare e abbandonare la politica estera seguita fino ad ora e buttarsi ancora di più tra le braccia di Iran e Turchia nella speranza di ottenere aria sufficiente per respirare. Se sul percorso verso l’isolamento dell’Iran, la Turchia nel prossimo futuro verrà messa di fronte a una scelta simile, non ci dobbiamo meravigliare.

Un corridoio per il gas qatariota

Perché la Turchia è stata il primo Stato che dopo il presentarsi della crisi del Qatar con una presa di posizione si è schierato al fianco del piccolo Stato desertico. Forse dobbiamo guardare ancora una volta con attenzione a cosa ha spinto la Turchia a un posizionamento di questo genere: in primo luogo l’intervento della Turchia in Siria evidentemente non aveva solo lo scopo di dividere tra loro i cantoni curdi. Anche la possibilità della costituzione di un corridoio per il gas qatariota ha svolto un ruolo in questa decisione.

Le relazioni tra Turchia e Qatar vanno affrontate e valutate in questo quadro. Quello che hanno in comune questi due Stati non deriva solo dalla collaborazione economica. I due Paesi formano un’unità che finanzia e sostiene dal punto di vista logistico organizzazioni terroristiche come IS, il Fronte Al-Nusra, Hamas e i Fratelli Musulmani. Mentre la Turchia, sostenuta dai denari del Qatar sfrutta le proprie potenzialità, il Qatar, appoggiato alla Turchia cerca di garantire la propria sicurezza. Le parole di Luigi XIV si sono trasformate nelle parole “Lo Stato turco è Erdoğan“. Il dibattito “Una religione, un Re, una giustizia“ è noto come la ragione principale della guerra dei trent’anni. La R4bia (emblema con una mano nera con quattro dita distese) del dittatore è Erdoğan, ovvero gli assomiglia molto. La formula uno Stato, una Nazione, una bandiera e una patria è stata resa lo slogan in sé. Con il monismo si cerca di annientare tutte le differenze. Minoranze etniche e religiose, soprattutto i curdi e gli aleviti, vengono negati. Con la graduale eliminazione dell’intera opposizione, si cerca di costituire un “dominio assoluto“.

Mentre si cerca di costruire in Medio Oriente un nuovo equilibrio e una nuova spartizione, gli sviluppi nella Turchia di Erdoğan vengono interpretati diversamente. C’è una recidiva che va verso una rivitalizzazione dell’Impero Ottomano. La politica immorale che tutte le aree possibili sfruttano per il proprio interesse, viene considerato abilità. Si agisce secondo la concezione “Per il potere è permesso tutto“. Per diventare un attore regionale, la Turchia si è trasformata in uno Stato terrorista. Con questa mentalità sostiene IS, agisce a spese del Qatar e con l’uso del segno R4bia porta la mentalità dei Fratelli Musulmani al livello del governo della Turchia. C’è ostilità nei confronti dei curdi e si attacca il Rojava.

La Turchia nella cosiddetta Terza Guerra Mondiale ha imboccato un suo proprio corso. Non è possibile che si apra un proprio percorso nella regione, dato che su molti punti è opposta all’Europa e agli Stati Uniti. Deve rispondere di ogni crimine. Inoltre ha una mentalità fondamentalista e nazionalista. Le probabilità per la Turchia di trovarsi in questa guerra dalla parte dei perdenti è molto alta. Se Voltaire fosse vissuto alla fine di questa guerra, probabilmente avrebbe detto:”non sono rimasti né il neo-ottomanesimo né la dittatura di Erdoğan, né la Rabia“.

La terza via dei curdi

I curdi in questo parapiglia sono riusciti ad assumere il ruolo di un attore decisivo. Perché invece di decidersi per una parte, hanno scelto e interiorizzato una propria via, ossia una terza via. Puntano sulle loro idee per una soluzione dello scontro bellico e sull’impostazione dell’autodifesa e allo stesso tempo si tengono lontani da scontri religiosi ed etnici. Adottano un modello di amministrazione nel quale tutte le aree della società possono esprimersi e hanno diritto di parola in ogni decisione. Gli USA e la Russia sono consapevoli del ruolo dei curdi e su questa base entrano in relazione con loro. I curdi attualmente sono forza attiva nella regione e contribuiranno in modo determinante a decidere l’esito della guerra. E più sarà decisivo il ruolo dei curdi, tanto maggiore sarà la possibilità che dalla cosiddetta Terza Guerra Mondiale emerga la libera volontà dei popoli e la società democratica. Perché questo è il progetto di soluzione dei curdi che segnerà la pace della Vestfalia del Medio Oriente. Altre preferenze di soluzione sanguinose per le società della regione significherebbero solo un’altra sconfitta.

Questo editoriale è apparso in originale il 08.07.2017 con il titolo “Otuz yıl savaşlarının Ortadoğu versiyonu” sul quotidiano Yeni Özgür Politika.

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