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Iraq

Sgomberato ufficio di donne curde a Erbil nell’Iraq del nord. Le attiviste pensano a un tentativo di intimidazione. Un colloquio con Meral Cicek

È successo senza che ci fosse una base legali.Meral Cicek è originaria di Colonia e lavora come presidente del Centro Curdo per le Questioni Femminili a Erbil

Domenica mattina l’ufficio dell’organizzazione

REPAK, il Centro Curdo per le Questioni Femminili, a Erbil nel nord dell’Iraq è stato perquisito dalle forze di sicurezza della Regione Autonoma del Kurdistan, GRK e lei e le sue collaboratrici sono state espulse dalla città. Cosa è successo esattamente?

Alle 9 forze di sicurezza pesantemente armate sono entrate nel nostro ufficio. Senza mostrarci alcun documento ci hanno invitate a seguirli. Nonostante le nostre domande non ci è stato fornito alcun tipo di motivazione. Immediatamente hanno sequestrato i nostri documenti e i nostri cellulari perché non potessimo informare nessuno. Nonostante abbia detto che ho la cittadinanza tedesca e di voler informare il Consolato questo mi è stato negato. Mentre perquisivano i locali, solo con molta insistenza siamo riuscite a ottenere di poter portare con noi almeno alcuni oggetti personali. Quando abbiamo chiesto dove saremmo state portate chi hanno detto che ci avrebbero deportate dalla città. Le mie due collaboratrici e io siamo state portate dalle forze di sicurezza ai confini della città. Al checkpoint hanno fatto copie dei nostri documenti. Ci è stato detto che non potevamo più mettere piede in città. Successivamente ci hanno fatte scendere oltre il checkpoint tra Erbil e Kirkuk in mezzo alla strada.

Vi hanno fornito qualche tipo di spiegazione?

Tutto è successo in modo completamente arbitrario, senza qualsiasi fondamento di legittimità. È chiaro che questo attacco era motivato politicamente. Anche se una collega è cittadina dell’Iraq del sud e la mia collega e io disponiamo di permessi di soggiorno validi per l’intera regione Kurdistan ci viene negato l’accesso a una parte della regione. Ma non siamo sole in questa situazione. Perfino il Presidente del Parlamento del GRK da quasi un anno non può mettere piede nella città in cui si trova il Parlamento.

REPAK è stato fondato nel 2014 e si è posto come obiettivo un migliore networking del movimento delle donne curde. Avete avuto successo con questo lavoro?

REPAK da un lato ha svolto in lavoro importante per mettere in rete le donne curde in tutte le quattro parti del Kurdistan e in Europa. Dall’altro il nostro ufficio durante gli attacchi di »Stato Islamico« al Kurdistan meridionale nell’estate del 2014 è diventato un importante punto di riferimento per giornalisti, attivisti, organizzazioni e delegazioni che si recavano in Kurdistan. Nel Medio Oriente e in tutto il mondo nell’ambito di conferenze abbiamo riferito della situazione delle donne yezide.

Come si spiega il modo di procedere restrittivo del GRK di Barzani contro la sua organizzazione?

Al momento nel Kurdistan meridionale è in atto una crisi strutturale. Questa per via della situazione finanziaria viene definita crisi economica o per via dell’illegittima continuazione dell’esercizio del mandato presidenziale da parte di Masud Barzani come crisi politica. Tuttavia arriva molto più in profondità e al centro si trova il Partito Democratico del Kurdistan, KDP, che blocca qualsiasi sforzo per democratizzazione e unità nazionale. Allo stesso tempo il KDP, che controlla Erbil, rappresenta una mentalità molto patriarcale, retrograda, che esclude le donne da tutti gli ambiti della vita. Dato che le donne in Kurdistan assumono un ruolo precursore nella trasformazione democratica, sono esposte ad una persecuzione particolare. Negli ultimi mesi mote attiviste sono state arrestate. Espellendole dalla loro »zona di sovranità« si vuole impedire un cambiamento sociale e politico.

REPAK continuerà il suo lavoro?

REPAK naturalmente non si lascia intimidire. Sicuramente non lasceremo che ci vengano imposti limiti nel nostro lavoro. Poco tempo fa era il 100° anniversario dell’accordo Sykes-Picot che rappresenta la base della spartizione del Kurdistan da parte delle forze imperialiste. Il KDP da un lato dice che questi confini innaturali non significano più niente, ma allo stesso tempo cerca di tracciare nuovi confini intorno alla sua »zona di potere«. Noi non li riconosciamo. Proseguiremo la nostra lotta per l’unità nazionale e la liberazione delle donne in tutto il Kurdistan.

Intervista: Florian Wilde

Junge Welt

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