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Kurdistan

I curdi di Kobane sotto assedio dello Stato Islamico e della Turchia

Mentre continuano senza grande effetto i raid dei caccia e dei droni di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia sulle postazioni dello Stato Islamico e di Al Qaeda nel nord dell’Iraq e della Siria, l’attenzione è tutta concentrata sull’assedio jihadista contro la città curda di Kobane, capoluogo di uno dei tre cantoni che costituiscono il Rojava sotto il controllo di un governo di fatto autonomo da Damasco e ora mobilitato per impedire lo sfondamento delle milizie di Al Baghdadi.

In città continuano ad arrivare centinaia di uomini e donne dagli altri territori del Rojava e dal Kurdistan turco; volontari che vogliono arruolarsi nella difesa del capoluogo, combattenti del Pkk oppure semplicemente abitanti della zona che erano fuggiti e che ora tornano per difendere le proprie case, le proprie famiglie e i propri vicini.

Ieri, a sorpresa, Selahattin Demirtas, uno dei principali leader del partito curdo di Turchia HDP, è arrivato a Kobane per lanciare un appello internazionale per la difesa delle comunità curde assediate. Mentre le avanguardie dello Stato Islamico erano a soli 5 chilometri dalla città e bersagliavano le case con un fitto lancio di razzi, il copresidente del Partito Democratico dei Popoli ha rivolto in particolare un ultimo appello alla Turchia affinché smetta di impedire il passaggio dei guerriglieri curdi attraverso la sua frontiera e aiuti le migliaia di profughi curdi e siriani che tentano di scampare alle persecuzioni dei jihadisti.

“Abbiamo attraversato la frontiera fino a Kobane e abbiamo incontrato un responsabile del Pyd”, il Partito curdo siriano dell’Unione democratica, ha informato Demirtas al suo ritorno al valico di frontiera turco di Mursitpinar. “Intervenendo, la Turchia può ridurre la delusione della sua stessa popolazione. Se tutto il mondo unisse le proprie forze, nessuno potrebbe battere un popolo che difende una causa legittima”, ha aggiunto il leader politico curdo.

Ma il governo di Ankara, che pure è intenzionato a intervenire, sembra animato da una strategia esattamente opposta rispetto a quella auspicata dalle popolazioni curde che vivono ai due lati della frontiera.

Mentre le guardie di frontiera e i gendarmi turchi continuano a trattare i profughi curdi come bestie e non mancano interventi violenti – con gas lacrimogeni e idranti – per disperderli e allontanarli dalle recinzioni di confine, ieri è arrivata la notizia che Ciwan Behcet, una delle tre persone che erano state catturate dai soldati turchi nel fine settimana mentre cercavano di attraversare il confine nella zona di Şenyurt (provincia di Mardin) domenica scorsa, è stato picchiato in modo così violento da perdere la vita. 

Incredibilmente, i soldati hanno gettato il cadavere di Behcet e gli altri due feriti oltre il recinto al confine con il Rojava. E ora l’esercito turco ha addirittura scavato una trincea con i bulldozer per impedire ai rifugiati, che affollano a migliaia Kobane e altre località di confine sotto i missili e i colpi di mortaio sparati dai fondamentalisti sunniti, di riuscire a passare la frontiera.

Ma l’intervento della Turchia potrebbe avere conseguenze assai più gravi nella regione, sia per i curdi sia per l’integrità e il futuro della Siria.

Il governo turco ha infatti annunciato che presenterà in parlamento due mozioni per richiedere un ampio mandato per intervenire militarmente sia in Iraq che in Siria. Il premier, il liberal-islamista Ahmet Davutoglu, ha informato che il dibattito sui documenti si terrà giovedì.

Nel frattempo una quindicina di carri armati delle forze armate di Ankara hanno preso posizione su una collina alla frontiera che domina la città di Kobane, puntando i cannoni contro il territorio curdo-siriano. Secondo il quotidiano Hurriyet altri carri armati turchi si sono messi nei giorni scorsi in marcia verso il confine. Il quotidiano Zaman ha invece scritto oggi che sono almeno 10 mila i soldati turchi schierati sulla linea di frontiera pronti a invadere la Siria.

Intanto, è notizia di questa mattina, i tagliagole dell’Isis sono sempre più vicini alla città e al confine con la Turchia.

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani in queste ore pesanti combattimenti sono in corso proprio alle porte della città, con i miliziani curdi che stanno “difendendo ferocemente” il centro abitato contro le avanguardie dello Stato Islamico ormai distanti solo 3 chilometri dal centro. Almeno nove combattenti curdi delle Unità di difesa del popolo (Ypg) sarebbero rimasti uccisi durante la notte. Si tratta di una battaglia impari: i guerriglieri e le guerrigliere curde hanno a disposizione solo armi leggere, qualche mitragliatrice di fabbricazione sovietica e qualche lanciarazzi Rpg, mentre i miliziani jihadisti possono contare anche su carri armati, artiglieria pesante e lanciarazzi multipli da 220 mm.

Inoltre, sempre secondo l’Osservatorio – gruppo da sempre vicino ai cosiddetti ‘ribelli siriani moderati’ e basato a Londra – i jihadisti avrebbero decapitato quattro combattenti curdi, di cui tre donne, caduti nelle loro mani durante i combattimenti nei giorni scorsi, ed avrebbero esposto le loro teste nella cittadina di Jarablus, ad alcuni chilometri di distanza da Kobane, sempre lungo la frontiera con la Turchia.

di Marco Santopadre-Contropiano

 

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