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Rassegna Stampa

La Turchia e la piaga del lavoro minorile

[divider]9 Aprile 2013 [/divider] Piccole ombre che si aggirano nei porti, nei mercati, nelle piccole botteghe ma soprattutto nei campi da coltivare. In Turchia sono quasi novecentomila i minori costretti a lavorare e il fenomeno è tutt’altro che in diminuzione.

di Luca Bellusci-Osservatorio Iraq

In Turchia, secondo le ultime rivelazioni statistiche condotte dall’Istituto nazionale di Ankara, il 20% dei circa 15 milioni di minori di età compresa tra i 6 e i 17 anni è costretto a lavorare.

Un fenomeno che purtroppo non accenna a diminuire anche a causa della congiuntura economica internazionale, e che affonda le sue radici nella fondazione stessa dello Stato turco, nato dalle ceneri dell’impero ottomano.

Si tratta infatti di una pratica molto diffusa soprattutto nell’est del paese, dove ancora oggi la maggior parte delle famiglie vive appena al di sopra della soglia di povertà, senza contare i minori migranti o quelli appartenenti a etnie diverse da quella turca.

Dal 2006 a oggi si è riscontrata una sensibile diminuzione della loro presenza nel settore industriale e dei servizi, ma il discorso cambia per l’agricoltura, che impiega il 44,7% dei minori sfruttati, con un incremento dell’8% rispetto alle ultime rivelazioni del 2006.

Su un totale di 893.000, l’8,5% non riceve alcuna istruzione.

I bambini che provengono da situazioni di degrado sono i più vulnerabili a questo tipo di pratica e molto spesso si riscontrano casi di assunzioni di droghe ‘fai da te’, come le colle industriali.

Le carenze legislative

Purtroppo esistono diversi buchi legislativi che consentono di aggirare le leggi in vigore contro lo sfruttamento del lavoro minorile.

Ad esempio, la legge nazionale vieta l’occupazione dei bambini al di sotto dei 15 anni, ma con alcune eccezioni che non vengono espresse con chiarezza.

L’articolo 32 della Convenzione sui diritti del fanciullo sostiene il diritto del bambino a essere protetto da “qualsiasi lavoro che sia potenzialmente pericoloso o che interferisca con la sua educazione o che nuocia alla salute del bambino, fisica, mentale, spirituale, morale o sociale”.

Ma la Turchia è firmataria anche di altre convenzioni internazionali direttamente collegate al lavoro minorile, tra cui quelle dell’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) n.138 (convenzione sull’età minima) n.182 (per la prevenzione dallo sfruttamento di ogni forma di lavoro minorile), pur non avendo aderito alla numero 79 e 90.

Il caso di Gaziantep e il progetto Ciatomlar

Negli ultimi dieci anni, il governo turco ha impiegato diverse risorse, sia umane che economiche per fronteggiare il fenomeno. Uno dei programmi di prevenzione più interessanti ed efficaci è quello portato avanti nella provincia di Gaziantep.

Qui, grazie anche al contributo dell’Unione Europea, sono raggiunti risultati incoraggianti attraverso la creazione di centri di recupero per minori tossicodipendenti e di orfanotrofi, di cui hanno beneficiato – secondo i dati forniti dalle autorità – almeno 5,800 minori.

Una goccia in uno stagno, se si pensa a quegli 890.000 bambini che ancora tendono la mano in mezzo a una strada.

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