Kurdistan

Turchia: A Istanbul, i rifugiati vivono nella paura del razzismo e della polizia

Da qualche settimana, l’hashtag #StopDeportationsToSyria #SuriyeyeSinidisinaSon) circola sui social. Accompagnato da testimonianze di siriani che raccontano di essere stati arrestati e rimpatriati in Siria dalla polizia turca a Istanbul. Le autorità turche hanno deciso di iniziare una caccia ai rifugiati mentre si moltiplicano le aggressioni.

Il 21 Luglio, mentre frequenta i suoi corsi, il giovane Amjad Tablieh viene arrestato dalla polizia turca a Istanbul. Non ha il suo visto di soggiorno temporaneo con lui, il -kimlik-, perciò la polizia turca rifiuta d’attendere che la sua famiglia glielo porti: >. La destinazione finale sarebbe stata infine la Siria.

Studente universitario e con un kimlik a Istanbul, Amjad aggiunge che come gli altri siriani fermati il suo stesso giorno, è stato costretto a firmare un documento che attestava il suo rientro volontario in Siria. Ci tiene ad aggiungere inoltre che ha >. Studente di architettura, Hama è arrivato a Istanbul da quattro mesi per iscriversi all’università. Lui è stato arrestato e deportato perché il suo kimlik è stato rilasciato a Gaziantep, in prossimità del confine con la Siria. Amr Dabool, allo stesso modo registrato nella città di Gaziantep, è stato espulso verso la Siria mentre tentava di arrivare in Grecia.

Niente status di rifugiato per i siriani in Turchia

Mentre si moltiplicano storie come queste sui social, il 22 Luglio, le autorità d’Istanbul hanno annunciato che i siriani in possesso del documento di protezione temporanea (kimlik) ma non registrati a Istanbul hanno a disposizione fino al 20 Agosto per tornare nelle provincie di assegnazione, in caso contrario saranno ricondotti in maniera forzata nelle città scelte dal ministero degli interni. Invitato qualche giorno dopo, il ministro dell’interno Suleyman Soylu ha negato qualsiasi iter di espulsione, precisando che alcuni siriani hanno deciso di >.

Tra i 3,5 milioni di Siriani rifugiati in Turchia, ce ne sono più di 500 000 che vivono a Istanbul.

La maggioranza è stata registrata nelle province limitrofe alla Siria (Gaziantep o Urfa) o vi è passata prima di arrivare a Istanbul per lavorare, studiare o raggiungere la famiglia. Da qualche giorno, i controlli si rinforzano per il ricollocamento nelle province dove risulta la registrazione.

Per Diane al Mehdi, antropologa e membro del Syrian Refugees Protection Network, tali atti si riproducono da molto tempo, ma oggi risultano più massivi. Il 24 Luglio, il ministro dell’interno a inoltre affermato che un’operazione finalizzata a individuare i rifugiati e i migranti non registrati a Istanbul ha portato all’arresto, dal 12 Luglio, di 1000 siriani. Ogni giorno, all’incirca 200 persone sono state espulse verso il nord della Siria attraverso la frontiera di Bab al-Hawa, precisa la ricercatrice. >, lei spiega.

Lo status d'> del quale dispongono i Siriani in Turchia è poco chiaro e estremamente limitante e precario, segue Diane al Mehdi. > Creato nel 2013, tale status si inscriveva all’epoca all’interno di una logica di ‘favore’ e ‘carità’ verso il popolo siriano, il governo non pensava che la guerra in Siria sarebbe durata cosi a lungo. >

Oggi, i 3,5 milioni di Siriani rifugiati in Turchia non dispongono dello status di rifugiato. Anche se firmataria della Convenzione di Ginevra, Ankara riconosce lo status di rifugiato unicamente ai cittadini dei 47 paesi membri del Consiglio europeo. La Siria non ne fa parte e perciò i Siriani dispongono di uno status più carente di garanzie e protezioni, con una protezione temporanea e revocabile.

#FuoriiSiriani: >

Se il presidente Erdogan ha sempre lodato una politica d’accoglienza nei confronti dei Siriani, oggi il vento sembra cambiato. A Febbraio 2018, già dichiarava: >. Ed è di conseguenza che a Istanbul è stato sempre più difficile ottenere il kimlik, dal 6 Luglio 2019, Istanbul non ne rilascia più ufficialmente secondo Diane al Mehdi.

Anche se il kimlik non offre la possibilità di lavorare ai Siriani, da qualche anno, le attività commerciali che hanno vetrine con scritte in arabo sono aumentate a Istanbul e molti Siriani hanno trovato un lavoro nell’economia informale, fornendo della manodopera a buon mercato. Tuttavia, in un difficile contesto economico, con l’inflazione e la disoccupazione in aumento, i lavoratori siriani entrano in concorrenza con i turchi causando una crescita della tensione sociale.

La scorsa primavera, mentre la campagna per le elezioni municipali era nella sua fase più intensa, dei propositi ostili accompagnati dagli hashtag #SuriyelilerDefoluyor ( >) o #UlkemedeSuriyelilstemiyorum (>) si sono moltiplicati sui social. Il candidato d’opposizione e sindaco d’Istanbul, Ekrem Imamoglu, sbalordito dal numero di insegne in arabo in alcuni quartieri, ha affermato: >.

Successivamente alle banalizzazioni dei propositi anti-siriani, si sono moltiplicati gli atti di violenza tra le strade di Istanbul. A fine Giugno, nel quartiere di Kuçukçekmece, una folla di uomini ha attaccato dei negozi di proprietà di Siriani, Qualche giorno dopo, le autorità d’Istanbul hanno intimato a più di 700 commercianti Siriani di scrivere in turco le loro insegne in arabo.

Pubblicato sula scia degli avvenimenti, un sondaggio dell’università ”Kadir Has” a Istanbul ha confermato che i Turchi scontenti della presenza dei Siriani sono aumentati dal 54,5 % nel 2017 al 67,7 % nel 2019.

Clima di paura

Anche se hanno un kimlik, coloro che non dispongono di un permesso lavorativo -difficile da ottenere- rischiano un’ammenda di circa 550 euro e l’espulsione verso la Siria se sono presi in delitto di flagranza. Inoltre, la polizia ha rafforzato i controlli d’identità nelle stazioni della metro, nelle stazioni dei treni, nei quartieri a forte concentrazione di Siriani ma anche nei luoghi di lavoro. Questa nuova onda di arresti e di espulsioni suscita nei Siriani un clima di paura permanente. Nessuna delle persone contattate ha voluto testimoniare, neanche garantendo l’anonimato.

>, denuncia Syrian Refugees Protecion Network. Inoltre l'[l’accordo firmato tra Unione europea e Ankara nella primavera del 2016 con la finalità di fermare la via dei Balcani non ha fatto che deteriorare la loro situazione in Turchia. Per Diane al-Medhi, si sarebbe necessitato uno status che permettesse ai Siriani un avvenire. >

Secondo lei, destinare dei soldi allo stato turco, mentre non si sa in che modo questa operazione abbia un beneficio effettivo per i rifugiati, non è la soluzione. >

da Courrier des Balkan

https://www.courrierdesbalkans.fr/Turquie-a-Istanbul-les-refugies-vivent-dans-la-peur-du-racisme-et-de-la-police

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