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L’esito del referendum in Turchia è illegittimo. L’Ue e i governi rompano le relazioni politiche ed economiche

Nonostante una durissima ondata repressione con l’arresto di decine di migliaia di persone, l’omologazione dei media, la guerra in atto nelle zone curde del sudest della Turchia e una lotta senza quartiere contro i partiti di opposizione e in particolare contro l’HDP , in occasione del referendum costituzionale di ieri, l’autocrate Erdogan non è riuscito ad ottenere lo sperato risultato plebiscitario per la legittimazione della sua dittatura presidenziale.

Non solo nelle zone a maggioranza curda, ma in molte altre delle maggiori città della Turchia (tra cui Istanbul, Ankara e Smirne), il voto per il “No” ha prevalso nonostante spudorati e documentati brogli. E non sono solo i partiti di opposizione, ma addirittura l’OCSE a mettere in dubbio la regolarità del voto e la legittimità del risultato che verrà giustamente contestato.

È necessario che l’Unione Europea e i governi dei singoli Paesi, compreso quello italiano, traggano conseguenze concrete da quanto è successo e dicano con chiarezza che l’esito del referendum non può essere considerato legittimo.

Per sostenere in modo concreto chi come il movimento curdo si batte per la democratizzazione della Turchia, è necessario che l’Unione Europea e i singoli governi interrompano immediatamente le relazioni diplomatiche e commerciali con la Turchia e diano la disdetta del vergognoso accordo del marzo 2016 sui profughi.

Non è più tollerabile che si faccia finta di niente a fronte a gravissime e reiterate violazioni dei diritti umani e civili e delle libertà democratiche in Turchia e a una politica guerrafondaia che contribuisce attivamente alla destabilizzazione dell’intero Medio Oriente, anche attraverso il mai interrotto sostegno logistico e finanziario a gruppi islamisti.

“Facciamo appello a ogni persona che ha una coscienza a sostenere la nostra azione. Diventate la nostra voce!” recita una lettera delle prigioniere politiche e dei prigionieri politici in sciopero della fame nelle carceri turche ormai da 62 giorni.

Dobbiamo raccogliere questo appello e diventare la voce di queste donne e uomini che stanno usando la loro stessa vita come strumento di resistenza, così come di tutte e tutti coloro che in Turchia nonostante il regime dittatoriale già in atto attraverso lo stato di emergenza, continuano a battersi coraggiosamente ogni giorno per la democrazia e la convivenza pacifica.

A sostegno di queste richieste è necessaria una mobilitazione diffusa che metta al primo posto la richiesta della liberazione delle prigioniere politiche e dei prigionieri politici e del Presidente Abdullah Ocalan.

 

Rete Kurdistan Italia

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