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Interviste

Rappresentante OMS: Rischio coronavirus per la Siria molto elevato

Il rappresentante OMS per la Siria, Dr. Nima Saeed, ha parlato con il Rojava Information Center della situazione in Siria del nord e dell’est dopo i primi casi di COVID-19. (pubblicato da ANF in lingua tedesca il 27.3.2020)

In Siria sono diventati noti i primi casi di COVID-19. In particolare in Siria del nord, la situazione per via delle molte persone in cerca di protezione e degli attacchi turchi è estremamente pericolosa. Il Rojava Information Center (RIC) ha parlato con il Dr. Nima Saeed, il rappresentante dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità in Siria, della situazione in Siria del nord e dell’est. Riportiamo qui una traduzione [dal tedesco] dell’intervista.

In quale misura il coronavirus si è diffuso in Siria, e lei si aspetta che si espanda anche nel nordest?

Secondo le IHR (International Health Regulations), finora ci è stato comunicato solo un caso di coronavirus confermato in Siria. Come OMS tuttavia per diverse ragioni stimiamo molto elevato il rischio in Siria. In primo luogo la Siria già prima della chiusura del confine era una meta per viaggiatori, per turismo religioso, in particolare presso [i siti sacri musulmani sciiti] Sayyidah Zainab e Sayyidah Ruqayya. La maggior parte dei viaggiatori arrivano dall’Iraq, dal Libano, dall’Iran, dal Pakistan nonché da molti altri Paesi della regione. Quindi sussiste il pericolo di importare l’epidemia.

In secondo luogo in Siria ci sono molti gruppi di popolazione a rischio, compresi i profughi interni, le persone negli slum e nei campi. Terzo: la capacità di reazione del sistema sanitario – e io qui parlo della Siria nel suo complesso – negli ultimi nove anni ha sofferto molto. Stimiamo la capacità di reazione del sistema sanitario al 40 percento della sua capacità originaria.

Profughi particolarmente a rischio

Quindi esiste la possibilità che il virus venga importato. E lei sa che il mondo oggi è un villaggio. Il virus non rispetta alcun confine, si muove rapidamente da Paese a Paese e attraversa continenti. Ora parliamo di oltre 190 Paesi e aree che sono colpite dal virus. Come OME quindi diciamo che non c’è alcun Paese che sia immune. Se, Dio non voglia, si presenta tra gli sfollati e nelle zone con elevata densità di popolazione, sicuramente si diffonderà più rapidamente che nella popolazione in generale.

Diversi rapporti indicano che il virus si è diffuso a Deir ez-Zor a causa della presenza di milizie iraniane, anche fino a Damasco e Aleppo. Lei lo ritiene probabile?

Come ho già detto riceviamo informazioni da fonti ufficiali. Per noi per quanto ne sappiamo, finora non ci sono così tanti casi. Ma può verificarsi. Suggeriamo al governo di estendere la definizione dei casi, di rafforzare la sorveglianza e di eseguire molti test. Ormai vengono fatti più test. Questi per lo più vengono eseguiti in casi gravi infezioni acute delle vie respiratorie (SARI).

Per noi i casi di SARI senza altri sintomi evidenti potrebbero essere classificati come sospetti di coronavirus. Se arriva lo striscio, il campione viene trasportato in modo adeguato, raggiunge il laboratorio e il test ha esito positivo, possiamo chiamarlo COVID-19. Quello che qui posso confermare, è che il laboratorio della sanità pubblica a Damasco ha la capacità di eseguire test.

Per quanto riguarda l’esecuzione di test, l’OMS ha messo a disposizione 1200 kit per il test per il territorio controllato dal governo siriano. Per il nordest, che si trova fuori dal controllo governativo, non c’è una tale disponibilità. Voi come OMS state prendendo quale misura per il nordest?

Cerchiamo di incaricare un laboratorio nel nordest con l’esecuzione di test. Ovunque il personale sia formato e in grado di eseguire i testi, noi lo progettiamo e ci lavoriamo. Ma posso dire già adesso – i campioni possono essere analizzati a Damasco. Con il sistema attuale, per esempio per quanto riguarda la polio, se abbiamo cosiddetti casi acuti classici di paralisi nei quali c’è il sospetto di polio, i campioni vengono portati nel laboratorio della sanità pubblica a Damasco e lì vengono analizzati. Lo stesso vale per l’influenza che viene analizzata nel laboratorio centrale, quindi nello stesso laboratorio che ora esegue i test per il coronavirus. Attualmente il campione può essere trasferito a Damasco per ogni caso sospetto e analizzato a Damasco.

Dal nordest della Siria alcune settimane è stato possibile inviare a Damasco un numero molto basso di campioni per l’analisi. Ma ci è voluta una settimana per inviare i campioni a Damasco e poi all’OMS e poi rimandarli nel nordest. Questo non è praticabile.

Funziona bene per influenza e polio. Ma i trasporti via terra o i voli da Qamişlo ora sono molto più rari. Questo in ogni caso ha effetti sul piano temporale per i test e l’ottenimento dei risultati. Non dobbiamo neanche dimenticare che anche a Damasco c’è solo un laboratorio che esegue i test. Progettiamo un allargamento e abbiamo consigliato al governo di aumentare il numero di laboratori, almeno uno in ciascuna regione, se non addirittura uno in ciascuna provincia; un laboratorio speciale per il coronavirus.

Purtroppo noi come OMS ci troviamo anche davanti al problema di procurare le necessarie apparecchiature e kit per i test. 1200, questo è un numero basso, se lo si confronta con altri Paesi e con quanti test eseguono giornalmente. Ciò che vediamo oggi è solo la punta dell’iceberg. In particolare nei decorsi miti spesso avvengono diagnosi errate. Ma questi casi trasmettono la malattia. Io temo che per via del numero basso di test raggiungeremo uno stadio in avremo un numero molto elevato di casi. Con lo stato attuale del prelievo di campioni non riusciremo a fermare la malattia. Nell’ultimo periodo abbiamo aumentato il numero, ma dobbiamo fare più e più test.

Dispongono di macchine PCR, le usano anche per la diagnosi di altre malattie come HIV, epatite. Ma per usarle per il coronavirus, devono essere munite di biosicurezza, armadi per la biosicurezza, isolamento, ecc.. E per via della chiusura dei confini, delle compagnie aeree, ecc. per l’OMS diventa più difficile sostenerli.

La nostra prima priorità in Siria sono i test di laboratorio. La seconda priorità è la protezione degli operatori sanitari con l’equipaggiamento di con dispositivi di protezione. La terza priorità è la gestione dei casi, l’isolamento, la prevenzione dei contatti. Perché per impedire questa malattia bisogna trovare e isolare ogni caso. E poi una quarta priorità è la comunicazione e sensibilizzazione nei confronti della società. Questo è assolutamente necessario e viene fatto anche in altri Paesi.

Che si tratti del nordest della Siria o di altri Paesi, queste misure sono molto importanti, come la chiusura delle scuole, l’impedimento di assembramenti di massa. Ma la cosa più importante sono davvero gli individui stessi, i cittadini stessi. Devono tenersi a distanza, lavarsi le mani e seguire l’etichetta per gli starnuti.

Qui nel nordest è in corso una grande campagna per la sanità pubblica, la quarantena è in vigore. E per questo le autorità sanitarie qui dicono che oltre ai kit per i testi hanno bisogno di più respiratori, maschere e equipaggiamento per la sterilizzazione. Queste sono cose che l’OMS può mettere a disposizione?

Assolutamente, hanno bisogno di tutte queste cose. Come vedete ora, anche le più grandi economie del mondo, i sistemi sanitari più avanzati, sono in lotta con questa pandemia. Seguite le notizie. E cosa succede in un Paese che è in guerra da nove anni, e poi c’è il sistema sanitario che anch’esso ha sofferto, e questa popolazione esposta. Quindi sarà più serio che in altri Paesi.

La chiusura dell’unico transito oltre confine per gli aiuti dell’ONU verso il nordest della Siria presso al-Yaroubiyah ha incidenza sulla vostra capacità di fornire aiuti nel nordest?

Per la fornitura di servizi certamente ha portato con sé una sfida ulteriore. La logistica è strutturata, ma per la fornitura di servizi il sistema sanitario ha bisogno di tempo per venirne a capo. Quindi in ogni caso ha degli effetti.

Se ora vogliamo inviare aiuti nel nordest della Siria, dobbiamo ottenere una cosiddetta „Facilitation Letter” da Damasco. Finora non abbiamo avuto problemi. Da metà luglio a oggi, in particolare durante la crisi nel nordest, non abbiamo avuto problemi. Tutte le richieste sono state esaudite e oltre il 50 percento delle forniture sono andate in zone non controllate dal governo. O direttamente in ospedale o perfino alla Mezza Luna Rossa Curda e altri partner, ONG, e naturalmente il 30 o 40 percento in zone sotto il controllo del governo. Quindi in realtà durante la crisi non hanno impedito questo. È andato tutto liscio.

Allora qual è la ragione per il fatto che questi 1200 kit per il testo vengono distribuiti nelle zone sotto il controllo del governo e nessuno viene inviato nel nordest?

Non si tratta solo del nordest. Neanche una sola provincia attualmente ha i kit per i test e un laboratorio. È tutto nel laboratorio sanitario pubblico. La razionalizzazione all’inizio valeva perché era a disposizione solo un numero limitato di test, così che si è reso necessario centralizzarlo e tutti seguivano lo stesso sistema che ora funziona anche per la polio e altre malattie virali.

Ma i test per la polio sono diversi. In particolare per il coronavirus devono essere rapidamente per essere efficaci. Questa è una misura preventiva importante.

Voglio qui esprimermi in modo chiaro. Noi ci impegniamo per estendere i test e i laboratori a Latakia, Aleppo, Hesekê, e in ogni provincia che dispone delle capacità e del personale formato per questo. E noi possiamo anche istruire coloro che non hanno addestramento. Ma abbiamo bisogno di laboratori con standard di sicurezza, con i corrispondenti kit, per poter eseguire i test. E il governo ha approvato il principio. Ma tutt’ora l’equipaggiamento, il materiale di laboratorio, i kit, non sono disponibili.

Negoziate sulla costruzione di un laboratorio a Hesekê, gli equipaggiamenti per i test, direttamente con l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord e dell’Est o tramite il governo a Damasco?

Noi discutiamo con il governo a Damasco, e i nostri colleghi discutono anche con le autorità locali. Noi lì abbiamo dei collaboratori.

Avete l’impressione che il governo prenda i provvedimenti necessari in tutta la Siria, che prende sul serio questa minaccia?

Io credo che prenda sul serio i provvedimenti e che proceda con tutte le risorse disponibili. Ma serve decisamente di più. Non solo da parte del governo, ma da parte di tutti gli attori. Ora, per quanto riguarda l’ONU non è solo l’OMS a lavorarci: hanno il comitato di crisi, tutte le organizzazioni chiave vi partecipano, e discutono ogni giorno cosa serve e come possono sostenere il governo per arginare il virus e di come possono incoraggiare il governo nel suo operato. E naturalmente, per essere ben preparati, servono molte risorse, molto denaro.

Non solo nel nordest, ma ovunque si tratta di una grande sfida, le capacità sono limitate e il virus è molto veloce. Il tempo è estremamente importante. Soprattutto per la logistica questa è una grande sfida. A questo si aggiunge che continuano a mancare PSA, respiratori, tutte queste cose. Quindi sarà molto difficile. Quindi speriamo per il meglio e ci prepariamo al peggio.

Si tratta di una pandemia globale, richieste uno sforzo coordinato. Tutti i Paesi dovrebbero dimenticare le loro differenze politiche e unirsi per combattere insieme questo virus.

Le Forze Democratiche della Siria hanno dichiarato che avrebbero cessato le operazioni militari e fatto appello per una tregua in tutte le zone di conflitto in Siria. Lei lo appoggerebbe?

Io ne ho preso atto e questo e davvero un passo molto buono. Perché il virus non rispetta né confini né la linea di controllo. Se si presenta nel nordest della Siria, avrà effetti su altre zone e viceversa.

Grazie.

Fonte: RIC/ANF (il testo originale inglese dell’intervista pubblicata dal RIC il 25 marzo 2020 è stato rivisto per la lunghezza e leggermente rivisto per chiarezza)

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