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Dalla Storia

Cemil Bayik: „Incontri che ci hanno fatto sudare”

Cemil Bayik, co-Presidente della KCK, ricorda esperienze del lavoro nella fase iniziale del PKK in Kurdistan.Il seguente testo di Cemil Bayık tratta di due aneddoti del gruppo fondatore del PKK di studenti intorno a Abdullah Öcalan a metà degli anni ‘70. Dopo le prime attività ideologiche e politiche a Ankara il gruppo iniziò a diffondersi in tutto il Kurdistan per presentare le sue idee, entrare nella società e conoscere la realtà del Paese. Diversamente da altri gruppi filo-curdi di quel tempo, i rivoluzionari del Kurdistan erano in prevalenza studenti poveri che si erano votati al socialismo. Allo stesso tempo mettevano in discussione lo sciovinismo sociale che prevaleva nella sinistra turca. Senza molti mezzi le ide del movimento si diffusero soprattutto attraverso interazioni dirette con le comunità e singoli in tutta la regione.

Cemil Bayık è co-Presidente del Consiglio Esecutivo dell’Unione delle Comunità del Kurdistan (KCK), la confederazione per la costruzione della „Autonomia Democratica”. È considerato co-fondatore del gruppo che si creò alla metà degli anni ‘70 intorno a Abdullah Öcalan e dal quale nel 1978 nacque il PKK.

Anche Kemal Pîr fu uno dei primi compagni intorno a Abdullah Öcalan, che conobbe lui e Haki Karer al suo rilascio dal carcere all’inizio degli anni ‘70. Entrambi erano di origine turca. Kemal Pîr più tardi fu detenuto nel carcere di Amed (Diyarbakir) dove con i suoi compagni iniziò uno sciopero della fame per protestare contro la politica dello Stato turco di torturare persone perché si arrendessero e si sottomettessero. Morì il 7 settembre 1982, nel 55° giorno del suo sciopero della fame.

Bayik: L’incontro che ci fece sudare

Era l’anno 1976. I giorni in cui nessuno ci conosceva, nessuno ci voleva conoscere. Quelli furono i gironi in cui dopo il nostro incontro a Ankara decidemmo di ritornare nel Paese e di iniziare con il lavoro. Durante quel periodo dirigevo il lavoro a Dersim insieme a un amico di nome Cömert. Nessuno sapeva qualcosa su di noi, nessuno aveva sentito parlare di noi: era un periodo in cui non avevamo alcun mezzo. Anche se avessimo preso la decisione della lotta armata, perfino se qualcuno fosse arrivato per spararci, per via della mancanza di armi non avremmo potuto difenderci. Parliamo di un periodo di questo genere.

Insieme al nostro amico Cömert abbiamo guidavamo il lavoro nella zona tra Hozat e Pertek. Nella zona tra Hozat e Pertek c’era un villaggio di nome Ballıkaya. Un giorno decidemmo di andare in quel villaggio. Andammo lì e bussammo alla prima porta. Quando la porta si aprì entrammo. Dentro c’era un uomo anziano. Dato che non sapevo né chi né cosa fosse, entrai e mi misi a sedere accanto a lui.

L’amico Cömert però sapeva che si trattava di un „Dede” alevita. Per via della tradizione nessuno si sarebbe seduto accanto a lui. Ma io questo naturalmente non lo sapevo. Ma dato che Cömert veniva da quella zona, sapeva chi era un Dede qui e come ci si deve comportare in presenza di un Dede. Ma dato che io non lo sapevo, mi misi a sedere accanto a lui e lo salutai. Cömert andò in un posto, quasi dietro la porta, e si mise a sedere.

Durante quel periodo fumavo molto e dato che non avevo più sigarette, chiesi al Dede quando prese la sua scatola di tabacco: „Scusi, ho finito le sigarette, potrei farmene una dalla sua scatola di tabacco?” Mi tese la scatola del tabacco, ma intanto guardava in direzione opposta. Mi accorsi che non mi dava il tabacco di cuore. Ma non compresi perché fosse così. Era ora di cena e ci sedemmo per mangiare. C’erano anche alcuni giovani in quella casa. Avevamo mangiato ma nessuno dei giovani si alzava. Dissi a me stesso: „Da noi è così: fino a quando non si alzano gli anziani, non si alza neanche nessun altro. Per questo anch’io non mi alzai.“

Pochi minuti dopo l’uomo anziano, del quale non sapevo che fosse un Dede, lesse una preghiera e ognuno prese di nuovo due o tre cucchiai dal vassoio. Mi accorsi che non mi trovano in una situazione normale. Ma non riuscivo a scoprire esattamente di cosa si trattasse. Fino a quel momento non sapevo nemmeno cosa significasse essere un Dede o una persona pia. Perché non lo avevo mai vissuto o visto prima. E neanche l’amico Cömert aveva detto qualcosa su questo argomento. Alla fine ci alzammo dalla cena. Dopo un po’ arrivò gente nella casa. Ognuno che arrivava prima baciava la sua mano, poi la mia e poi si metteva seduto. Non volevo che si baciasse la mia mano, perché tra coloro che lo facevano c’erano persone molto anziane. Uno di loro aveva perfino 80 anni. Voleva baciare la mia mano, ma io non glielo lasciai fare. Intanto iniziai a pensare: „Se solo non fossi capitato in questa situazione.“ Ero in imbarazzo.

Kemal Pir (a sinistra) e Mehmet Karasungur (la data dello scatto non è nota)

Nel giro di pochissimo tempo la stanza si riempì. Solo quando una delle donne arrivate da fuori disse: „Dede, dicci qualcosa”, capii che era una Dede. Compresi di aver sbagliato qualcosa e con preoccupazione attesi cosa avrebbe detto sul mio errore. Tutti gli fecero domande, rispose a tutte, una dopo l’altra.

In quel periodo non sapevo bene il curdo. Quindi dissi: „Scusi, Dede, non so molto curdo, ma anch’io vorrei fare una domanda.“ – „Prego, ti ascolto”, disse. „Mentre suonava il Saz, ha parlato di Dersim e del Kurdistan. Sarebbe bello se potesse raccontare qualcosa di più in proposito. Perché sul suo Saz è scritta una poesia dal libro di Baytar Nuri su Dersim”, dissi. Quando cadde l’amico Aydın Gül, avevamo fatto una foto di questa poesia in quattro parti e l’avevamo appesa ovunque. Il Dede mi guardò e disse: „Noi diciamo Kurdistan su questa zona qui.”. Non disse altro.

Non avevo raggiunto il risultato desiderato. Dato che non avevo ottenuto la risposta desiderata, chiesi ancora una volta: „Mi scusi per cortesia, anch’io voglio dire una o due cose. Ho letto alcuni libri, lì il Kurdistan veniva descritto solo come un territorio che confina con il vostro.” Mentre dicevo questo, il Dede si girò di nuovo e mi guardò, ma questa volta in modo diverso.

Dopo avermi guardato così, rivolse il suo sguardo per alcuni minuti verso il pavimento e tacque. Tutti aspettavano, ascoltavano con molta attenzione il mio dialogo con il Dede e osservavano il clima cambiato. Dopo alcuni minuti di silenzio, il Dede iniziò a raccontare la storia del Kurdistan. I presenti si chiesero palesemente chi fossi. Durante il dialogo che durò fino a notte, pensarono che io fossi l’assistente del Dede. Questa era anche la ragione per la quale mi avevano baciato la mano. Quando compresero che non ero l’assistente, nella stanza ebbe inizio una discussione: „Chi è e perché sta seduto qui?“ Quando il Dede ebbe finito di parlare, lo ringraziai. „Se ne non le dispiace, anch’io direi volentieri alcune cose”, dissi. Lui disse: „Prego, lei ha la parola, può parlare.” Allora anch’io ho parlato dei curdi e della storia del Kurdistan.

Questa volta il Dede iniziò a osservarmi con più attenzione. Uno dopo l’altro, tutti coloro che erano nella stanza iniziarono a riconoscere che la situazione che vivevano non era una situazione normale. Con brevi conversazioni e discussioni, di nuovo domande e risposte, la serata continuò a svilupparsi. Quando alla fine la notte era abbastanza avanzata, mettemmo fine a conversazioni e discussioni. Man mano si sparpagliarono tutti per tornare a casa. Dopo che tutti se ne furono andati, restammo solo noi due. Dopo essere rimasti soli, e con l’intenzione di porre rimedio ai miei errori fatti in quella serata, dissi al Dede: „Mi dispiace, non sapevo che lei fosse un Dede. Se quindi mi sono comportato in modo inadeguato, deve sapere che non era mia intenzione. Se ho fatto un errore deve sapere che è stato fatto inconsapevolmente e le chiedo scusa.“

Il Dede mi disse: „Io l’ho sospettata di essere qualcuno della sinistra turca.” Aggiunse che la sinistra turca faceva cose stupide in nome del socialismo, ma che lui non era contrario al socialismo. „Non sono neanche contro di lei. Ho perfino l’autorità, se lo volessi, nessuno potrebbe venire in questo villaggio”, disse. „Per rispetto per il socialismo non le ho detto niente. Ma lei non ha niente a che fare con il socialismo”, proseguì. Ne convenni, ma gli dissi anche che noi eravamo un movimento di quel genere. A questo mi chiese chi fossimo. Io dissi che eravamo un movimento nuovo. Al ché il Dede disse: „Se dovessi morire, riposerò in pace. La fondazione di un partito del genere per i curdi, rende felice.”

Cemil Bayık 1991, Valle della Bekka, Libano

Questo a sua volta mi rese molto felice. Il Dede aggiunse che aveva aspettato proprio la fondazione di un movimento del genere. „Io ho un articolo in lingua ottomana sui curdi e il Kurdistan. Ora che siete apparsi voi come movimento di questo genere, vi darò questi libri.“ Tirò fuori tutti i soldi che aveva con sé e ce li diede come sostegno. E disse: „Se volete lavorare ancora meglio e raggiungere risultati ancora migliori, vi posso presentare in tutti i villaggi qui.” Io risposi: „Questa sarebbe una cosa molto buona.”

Dopo che in questo modo avevamo sviluppato un rapporto vero con il Dede, proseguimmo il nostro lavoro in tutti i villaggi in cui ci presentò. Era importante sviluppare amicizie in questo modo. Fino a allora, lì aveva lavorato la sinistra turca. Nel farlo, in nome del socialismo procedeva contro il Dede e la religione. In quel tempo si presumeva che tutti quei villaggi si trovassero nelle mani degli „Ulusal Kurtuluşcu’lar” [Liberatori Nazionali].

Secondo quanto veniva raccontato, i villaggi tra Pertek e Mazgirt erano sotto il controllo del TIKKO. Visitammo alcuni villaggi e anche se non andammo in tutti i villaggi, tutti lì erano legati a noi. Si misero dalla nostra parte. Nei villaggi che visitammo, i discorsi che facemmo lì furono trasferiti anche agli altri villaggi, in certo senso venivano riflessi anche lì. Naturalmente il Dede in quel periodo fece propaganda anche per noi. Se si lavora all’interno della popolazione, bisogna farlo secondo le tradizioni, usanze e valori, in modo adeguato.

Abbiamo passato tutta la nostra vita con le persone. Tutto ciò che attirava la persone, attirava noi, tutto ciò che le persone mangiavano, lo mangiavamo anche noi. A prescindere da questo non vivevamo una vita diversa. Arrivavamo a conoscere bene le persone, e le persone conoscevano bene noi. L’unità con la popolazione si sviluppo sostanzialmente attraverso questo. Che le persone si fidavano di noi, fu il risultato di questo lavoro. Dopo la prima entrata in scena di questo movimento nessuno si aspettava e credeva che avrebbe fatto passi così grandi. Alle ci guardavano con condiscendenza. C’erano perfino persone che si prendevano gioco del movimento. Nessuno ci attribuiva seriamente valore. Venivamo definiti „Pazzi, il fui fiato puzza di fame”. Questi approcci non erano una critica, ma accuse. Ci hanno messi un cassetto. Usavano anche parole contro noi che non ci sarebbero venute in mente neanche in sogno. Alcuni ci chiamavano comunisti, alcuni socialisti, alcuni pazzi, detto in breve, dicevano ciò che gli veniva in mente. Noi però eravamo certi di fare la cosa giusta. Questo era importante, era ciò che ci sviluppava, che ci faceva crescere, ci ha portati dove siamo oggi.

+++

Dopo che il nostro amico Kemal era fuggito dal carcere, andammo insieme in un villaggio a Pazarcik. Era un villaggio nelle nostre vicinanze. Dato che lavoravamo lì, sul posto eravamo conosciuti. Quando arrivammo nel villaggio, vedemmo che lì era in corso un matrimonio. Nella festa nuziale si erano riunite numerose persone. Lì era noto che il nostro amico Kemal era in carcere. Dato che nei giornali non era stato scritto niente della fuga di Kemal e anche nelle notizie alla radio non si sentiva nulla, improvvisamente l’umore del matrimonio cambiò quando lui vi apparve.

Quando fu sera, tutti gli uomini si riunirono in un posto e ci chiesero la parola. Noi in quel periodo eravamo già al punto che quando vedevamo parecchia gente riunita da quale parte, lo consideravamo un’occasione che bisognava cogliere. Il nostro amico Kemal era evaso da poco dal carcere e da tempo non aveva più avuto un’occasione del genere. Quindi dissi a Kemal di parlare. Parò fino a notte.

Quando arrivò il mattino, un giovane uomo del villaggio venne da noi e ci chiese: „Volete parlare?” Noi dicemmo: „Naturalmente vogliamo parlare, siamo pronti a farlo in qualsiasi momento.” Dopo aver ricevuto da noi questa risposta, andò via. Dopo poco tempo tornò e disse: „Li ho riuniti, aspettano che arriviate e parliate.” Ci portò lì e vedemmo che tutte le donne erano riunite lì. Aveva invitato solo donne, ma non ci aveva detto nulla in proposito. Fino a quel momento nessuno di n oi aveva organizzato interventi o assemblee per donne. Ma la gente che era riunita lì, non erano donne giovani. Tante donne anziane quante ce n’erano nel villaggio, lui le aveva chiamate tutte e voleva che noi ci incontrassimo con loro. Non avevamo mai fatto un intervento davanti a così tanta gente. Per noi era una prima.

Mi girai e dissi al mio amico Kemal: „Tu ieri sera hai parlato molto bene, tu sei appena uscito dal carcere e hai molta energia, parla tu davanti alla folla.” Lui rispose: „Io non parlerò, tu parli.” Qualsiasi cosa tentassi, il mio amico Kemal non voleva parlare. Quindi l’intervento rimase a me. Parlai per circa 40 – 45 minuti. Ma non so più cosa ho detto. Ero sudato, bagnato fradicio. Come se fossi stato buttato in acqua e ritirato fuori. Era imbarazzante. Inoltre le donne nelle pause facevano risuonare „zilgit” (trilli). In ogni caso non sapevo più cosa avevo detto e inoltre i ripetuti trilli delle donne mi confondevano ancora di più.

Chiesi a Kemal: „Com’era il mio intervento?“ Lui rispose: „Non lo so.” Quando disse questo pensai: „Questo vuol dire che ho parlato molto male.”. Il mio morale scese. Mi rivolsi di nuovo a Kemal e gli chiesi: „Ho parlato male?“ Quando guardai meglio, notai che anche lui era intriso di sudore. Dissi: „Io ero quello che dovevo parlare, per questo ero agitato, bagnato di sudore e ho cambiato colore. Questo è comprensibile, ma perché tu sei tutto sudato? Hai perfino mangiato.” Kemal rispose: „Non chiederlo nemmeno. Stare seduti davanti a simile folla di donne è abbastanza faticoso. Tu hai parlato e non hai vissuto quella sensazione, ma io l’ho vissuta. Per questo non ho ascoltato il tuo discorso.”

Quando sentii questo il mio morale salì di nuovo. Il fatto che non mi avesse ascoltato significava che non avevo parlato poi tanto male. Quando sparimmo da lì, fu come se fossimo rinati. Come se tutto il peso del mondo fosse stato sulle mie spalle e ne fosse caduto andando via, riuscii di nuovo a respirare. Mi ricordo perfino di aver proferito un „Oh” di sollievo quando ce ne andammo da lì.

Il testo è stato pubblicato in lingua inglese su komun-academy.com

Fonte: ANF

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