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Turchia: La Rete Kurdistan Sardegna contro la repressione

Dopo mesi di epurazioni, purghe e arresti contro giornalisti, attivisti e accademici il cerchio si chiude. Nella notte tra il 3 e il 4 novembre 2016, la polizia turca fa irruzione nelle case di tredici parlamentari del Partito Democratico dei Popoli-Hdp e sottopone agli arresti domiciliari, tra i tanti, i due co-presidenti del movimento, Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ.

Già nel 2015, l’Hdp si era affermato come la terza forza politica del paese, superando la soglia di sbarramento del 10% e riuscendo a portare nel Parlamento la voce di più di otto milioni di cittadini di Turchia. Una forza politica che supera il nazionalismo fanatico della vecchia guardia kemalista e il “liberal-conservatorismo” del partito di governo, portando le istanze dei subalterni in Parlamento, quelle dei lavoratori, degli studenti, delle donne e degli ultimi della società grazie a un programma basato sulla giustizia sociale e sulla collaborazione tra religioni e culture. Quella ricchezza tanto odiata da una Turchia nazionalista, quella ricchezza tanto detestata dai fautori della laicità monocolore, quella ricchezza che nessuno era mai stato in grado di valorizzare. Un’opposizione troppo scomoda, dunque. Per questo, contro di essa il partito di Erdoğan, fin dalle elezioni del 2015 aveva scatenato una campagna di accuse, attacchi e intimidazioni con l’obiettivo di annientare l’unica forza in grado di bloccare le ambizioni autoritarie del sultano.

Tuttavia, nonostante il ricorso ai brogli e agli attacchi contro il partito, Erdoğan non era riuscito a impedire che questa forza superasse lo sbarramento del 10% per ben due tornate elettorali consecutive. La prima, quella del 7 giugno 2015, aveva sancito l’ingresso del partito in Parlamento con il 13,12% dei voti. La seconda, convocata anticipatamente da un presidente in preda all’impossibilità di raggiungere la maggioranza parlamentare necessaria al suo sogno presidenziale, si era svolta il 1 novembre 2015. Nel pieno clima degli attentati di Suruç, Diyarbakır e Ankara e di continui soprusi, allarmi e paure, mentre l’Hdp resisteva con il 10,76%, Erdoğan conquistava inevitabilmente un numero superiori di seggi. Ma è facile agitare lo spauracchio del terrorismo. Gli arresti trovano immediate giustificazioni e si prepara il vero attacco alle istituzioni democratiche: nel maggio del 2016, con la rimozione dell’immunità parlamentare, sono inoltrate le autorizzazioni a procedere contro circa cinquanta parlamentari dell’Hdp, sulla base di immotivate accuse di sostegno al Pkk, di violazione della Costituzione e di propaganda anti-repubblicana.

Intanto, il tentato golpe del 15 luglio diventa un’altra buona occasione per bersagliare le voci dell’opposizione. Nel proclamato stato di emergenza si insedia una vera e propria aria di golpe con rastrellamenti quotidiani che attaccano indifferentemente golpisti e presunti golpisti. Più di ottanta mila persone, tra accademici, giornalisti, attivisti ed esponenti della società civile, finiscono nel mirino. Più recentemente, lo scorso 30 ottobre, vengono arrestati Gültan Kışanak e FıratAnıl, eletti co-sindaci di Diyarbakır per lo stesso Hdp. Al loro posto Ankara nomina un commissario alla guida della municipalità portando a ventotto il numero delle amministrazioni curde dirette da ufficiali designati dal governo centrale. Allo stato attuale, riferisce Hisyar Özsoy, vice co-presidente dell’Hdp e Responsabile degli affari esteri, “circa trenta sindaci curdi eletti democraticamente sono ora in prigione e circa settanta sono stati dichiarati decaduti dal governo centrale”.

Ma l’ultimo vero atto di questa resa dei conti avviene negli arresti della scorsa notte. Una volta tolta l’immunità parlamentare, era prevedibile che il governo portasse avanti a oltranza questa spirale di repressione: i Pubblici Ministeri di Diyarbakır, Şırnak, Hakkâri, Van e Bingöl emettono il mandato di arresto per tredici parlamentari dell’Hdp, accusati di appartenenza a organizzazione terroristica e di relativa propaganda. Attualmente, si trovano in stato di arresto i co-presidenti dell’Hdp Figen Yüksekdağ e Selahattin Demirtaş, i parlamentari di Diyarbakır Nursel Aydoğan, İdris Baluken e Ziya Pir, i parlamentari di Şırnak Leyla Birlik e Ferhat Encü, i parlamentari di Hakkâri Selma İrmak e Abdullah Zeylan, di Mardin Gülser Yıldırım e i parlamentari di Ankara Sırrı Süreyya Önder e İmam Taşçıer. Mentre i parlamentari Tuğba Hezer e Faysal Sarıyıldız, trovandosi all’estero, hanno impedito che venisse eseguito il mandato di arresto.

Un attacco alla rappresentanza popolare, alle istituzioni democratiche, ai milioni di cittadini che hanno espresso la propria fiducia verso l’Hdp. Un vero e proprio attacco alla democrazia rappresentativa. Lo stesso Demirtaş, lo ha definito “un altro stadio del colpo di stato civile in corso sotto la guida del  governo e del Palazzo”. Nelle sue ultime dichiarazioni Demirtaş ha riferito “Io e i miei colleghi continueremo a resistere contro questo golpe civile dovunque e in ogni sua fase. Vogliamo che sia ben chiaro che rimarremo rigorosamente fedeli alla lotta per la democrazia, la libertà e la pace che il nostro popolo sta portando avanti. (…) Coloro che pensano di essere in grado di fermare la nostra volontà confermeranno solamente la loro meschinità con queste misere cospirazioni. Non importa quali siano le circostanze, noi continueremo la nostra lotta politica democratica e continueremo a ribadire il nostro appello per la pace”.

La Rete Kurdistan Sardegna risponde a questo appello esprimendo piena solidarietà al popolo curdo e a tutti i movimenti e popoli che sono oggetto della feroce repressione in Turchia.

Il Manifesto Sardo

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