«Non possono fermarci, porteremo la pace qualsiasi cosa facciano», sono le parole del leader dell’Hdp, Selahattin Demirtas dopo le due esplosioni al grande comizio di Diyarbakir che hanno causato quattro morti tra cui un ragazzo di 16 anni e 350 feriti. Il leader della sinistra filo-kurda ha parlato di sera dalla sede del partito a Tesisler e non dal palco stabilito. Poche ore prima si è svolta una delle più imponenti manifestazioni di popolo nelle province del Kurdistan turco. Decine di migliaia di attivisti e sostenitori del partito di sinistra filo-kurdo Hdp attendevano l’arrivo del leader del movimento alle spalle della stazione di Diyarbakir.
Una festa impressionante con doppio check-point all’ingresso di polizia e sostenitori del partito. Un bus davvero colorato con in cima tutti i candidati di Hdp locali ha compiuto un giro triofale tra le vie del centro. Le bandiere arcobaleno della comunità Lgbt (uno dei punti della campagna di Demirtas è la difesa dei diritti delle comunità gay e lesbiche in Turchia) sventolavano a due passi dagli emblemi dei Ypg, i combattenti anti-Isis della Repubblica di Rojava in Siria e alle effigi del leader del Partito dei lavoratori kurdi (Pkk), Abdullah Ocalan.
Danze e tamburi hanno accompagnato l’immensa folla di donne e giovani (in Kurdistan si toccano i livelli più alti di disoccupazione giovanile nel paese) verso il palco mentre risuonavano gli slogan «Viva la difesa di Kobane» e «Viva il presidente Apo (Ocalan, ndr)». Le braccia alzate con le mani in segno di vittoria hanno segnato gli interventi per la difesa dei diritti dei kurdi, ma riferimento è stato fatto a tutte le minoranze e allo stesso tempo all’identità turca del partito, da parte di alcuni dei candidati nelle liste di Diyarbakir.
Ma l’incredibile clima incandescente che si respirava per le strade del capoluogo kurdo è stato rovinato da due esplosioni. La prima bomba rudimentale era piazzata in un cassonetto dell’immondizia a cento metri dalla manifestazione e ha causato sei feriti. La seconda è avvenuta in una scatola elettrica a pochi metri dal palco. Immediatamente la folla ha tentato di scappare via dal luogo dell’esplosione ma gran parte dei sostenitori del quarantaduenne Demirtas hanno atteso per ore il leader kurdo della galassia di gruppi di sinistra e social-democratici che sostengono la scalata di Hdp al parlamento turco nelle elezioni di domenica.
L’ingresso in parlamento di Hdp potrebbe essere l’ultima chance per dare credibilità al processo di pace tra governo turco e partiti kurdi, incluso il Pkk.
La massiccia presenza di polizia e di uomini in borghese che abbiamo potuto verificare durante il mega comizio potrebbe essere dietro le esplosioni.
Tra i giovani manifestanti circolavano voci di un coinvolgimento dei poliziotti controllati da Fetullah Gulen, da anni impegnati a far saltare il tavolo negoziale e i sogni di pace dei kurdi turchi con la violenza.
Gli abitanti delle province kurde hanno il dente avvelenato contro i metodi violenti di polizia e servizi segreti dopo l’attacco dell’aviazione del dicembre 2011 a Roboski, quando l’aviazione bombardò il villaggio kurdo ai confini con l’Iraq, provocando una strage (34 civili) che è rimasta impunita. Da quel momento i rapporti tra Akp e Hdp si sono incrinati inesorabilmente. Per questo, dopo le esplosioni, la folla gridava ripetutamente il nome di un solo responsabile: «Recep Tayyp Erdogan».
Prima delle bombe, Demirtas in un comizio a Erzurum aveva chiesto a elettori ed esponenti della società civile di presidiare i seggi durante lo scrutinio dei voti per evitare possibili brogli elettorali (i media filo-kurdi parlano della fabbricazione di tre milioni di schede false) che costrigerebbero Hdp sotto il 10% e fuori dal parlamento.
Non si placa neppure lo scontro tra Erdogan e stampa alla vigilia del voto. Il quotidianoCumhuriyet, il cui direttore rischia l’ergastolo per lo scoop pre-elettorale sulla fornitura di armi ai ribelli anti-Assad in Siria, ha rincarato la dose. Aveva rivelato pochi giorni fa che agenti dei servizi segreti turchi (Mit) hanno scortato in Siria miliziani jihadisti.
Secondo Cumhuriyet, nel gennaio 2014, il Mit avrebbe noleggiato due autobus per trasportare i jihadisti dal campo di Atma alla città siriana di confine di Tel Abad, conquistata qualche giorno dopo dai miliziani dello Stato islamico (Isis).
Anche il giornalista del quotidiano di opposizione, Ozgur Mumcu rischia una condanna a 4 anni e 8 mesi di carcere per aver definito Erdogan «tiranno e codardo» dopo il suo attacco alla madre di uno dei giovani uccisi dalla polizia durante la rivolta di Gezi, Abdullah Comert.
Decine di persone, fra cui molti giornalisti, sono state arrestate e incriminate dall’inizio dell’anno per offese a Erdogan. Anche la stampa estera continua a criticare i metodi del presidente turco, che accusa i giornali europei e statunitensi di indebita ingerenza.
Giuseppe Acconcia-Il Manifesto