Turchia

Il mortale programma di Erdoğan a favore della vita: reclutare i nascituri turchi nella guerra contro i kurdi

[divider]1 Aprile 2013 [/divider] Da  anni Erdoğan ammonisce sul tracollo della Turchia, temendo che “loro vogliono sradicare la nazione turca!” e che “se continua il trend esistente (di decrescita demografica) il 2038 segnerà un disastro per noi” e richiama le donne turche ad adempiere al loro dovere di mettere al mondo figli. Ma chi sono questi nemici innominati e che cosa Erdoğan ha pianificato per loro?

di Melissa Seelye*

Il fatto che la recente decisione del Primo Ministro Recep Tayyip Erdoğan di condurre una guerra contro il diritto delle donne all’aborto in Turchia sia nata dalla polemica intorno al massacro di Uludere, nel quale 34 kurdi furono uccisi dagli F16 turchi a dicembre del 2011, non è una coincidenza. A seguito di numerose critiche e di una lunga investigazione dell’incidente, Erdoğan ha repentinamente aggiustato il tiro alla sua retorica spostando la responsabilità e sfuggendo alla richiesta di pubbliche scuse alle famiglie delle vittime durante un discorso tenuto a maggio del 2012 al congresso della sezione delle donne del suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP). In questo discorso ha condannato sia l’aborto sia il parto cesareo annunciando in modo ignobile: “Io so che questi sono atti tesi a impedire una crescita ulteriore della popolazione di questo Paese. Considero l’aborto un assassinio e rispondo a quei circoli e rappresentanti dei media che contestano i miei commenti: pensa e senti Uludere. Io dico che ogni aborto è come una Uludere”. L’implicazione razzista di questa dichiarazione suggerisce che la crociata in favore della natalità di Erdoğan è più un prodotto della sua continua paranoia sul sempre alto indice di natalità nelle regioni a predominanza kurda del Sud-Est della Turchia (comparato al resto del paese) che non un suo impegno morale o un attacco religioso ai diritti delle donne.

Sarebbe certo ingenuo e miope supporre che il programma antiabortista di Erdoğan cerchi unicamente di privare le donne dei loro diritti, come avviene con larga parte delle piattaforme politiche che parlano dei diritti delle donne (in qualsiasi forma) come un pericolo per la moralità o per la prosperità di un paese. Le donne di tutte le etnie e di tutti gli ambienti in Turchia reggeranno sicuramente all’urto dei piani di Erdoğan per aumentare l’indice di natalità della Turchia, basato al momento su un’ultima bozza di legge che presumibilmente renderà reato penale l’aborto eseguito da medici autorizzati o in cliniche sanitarie locali, e che introdurrà un periodo di “riflessione” dopo il consulto e l’ascolto del battito del cuore del feto, prima che le donne possano finalmente avere accesso alla procedura. Inoltre, se verranno attuate tali politiche, certo saranno applicate in modo più stringente per le donne povere e/o che vivono nelle aree rurali della Turchia. Ci sono poi due questioni cruciali che non sono state considerate. Primo, perché questa politica antiabortista proprio ora? E secondo, sebbene la domanda diventi largamente retorica dopo aver affrontato la prima questione, quali indici di natalità Erdoğan sta cercando di aumentare?

Dopo tutto è fondamentale segnalare che, data la relazione tra crescita economica e conseguenti miglioramenti nell’ambito di istruzione e sanità, la diminuzione dell’indice di natalità della Turchia avrebbe dovuto essere prevista e – visti i simili trend globali per le nazioni industrializzate – non dovrebbe essere certamente la catastrofe che Erdoğan sta dipingendo. Ovviamente fa riferimento alla recente recessione in Occidente e alle difficoltà del Giappone in quanto nazione invecchiata rapidamente. Tuttavia sarebbe irresponsabile non vedere le connessioni tra lo zelante incoraggiamento di Erdoğan alle coppie per avere almeno tre figli e il fatto che il TÜIK [Türkiye İstatistik Kurumu, Istituto Turco di Statistica] colloca l’indice di fertilità per l’anno 2011 nella regione del Sud-Est dell’Anatolia a predominanza kurda a 3.42 figli – più che il doppio dei rispettivi indici di Istanbul, Marmara e delle regioni dell’Egeo [1]. E’ chiaro che, negando il diritto all’aborto alle donne kurde, per rispondere a quanti negano con veemenza il perdurante razzismo dello Stato turco e affermano che Erdoğan non farà discriminazioni nella sua politica antiabortista, si incrementerà ulteriormente l’indice di natalità nelle regioni kurde. Si può solo immaginare che questo indebolirà fatalmente il programma politico di Erdoğan, soprattutto data la sua intolleranza verso la battaglia dei kurdi per l’autodeterminazione considerata come un’attività terrorista, come pure il fatto che la recente legislazione antiterrorismo è stata usata sproporzionatamente contro i politici, gli attivisti e allo stesso modo i civili kurdi. In Turchia l’aborto è stato legalizzato per ragioni mediche e in caso di malformazioni al feto rispettivamente nel 1965 e nel 1967.

Successivamente, a causa del numero crescente di aborti pericolosi e successive morti e complicanze, la Turchia ha legalizzato la scelta dell’aborto per tutte le donne entro le prime dieci settimane di gravidanza (o fino alla ventesima settimana in presenza di complicazioni) con la Legge per la Pianificazione  Demografica del 24 maggio 1983. La legge ha anche consentito l’accesso ai servizi e alle risorse di pianificazione familiare, inclusa la sterilizzazione, fatto che ha segnato un punto verso il controllo demografico che continua da allora. Così, la questione del perché Erdoğan abbia lanciato questa campagna sulla crescita demografica ora è una questione importante, specialmente considerato che, fra i 34 Paesi membri dell’Organizzazione per lo Sviluppo e la Cooperazione Economica (OECD), la Turchia figurava nel rapporto del 2011 come uno dei soli sei stati con un tasso di fertilità sostenibile, oltre ad avere il più basso tasso di occupazione e il più basso tassi di soddisfazione per la qualità dell’acqua, accanto al più alto tasso di mortalità infantile.

Se si prende per vero quanto riportato, il tasso totale di fertilità della Turchia è sceso al di sotto dei 2.1 bambini per donna necessari per mantenere invariata la popolazione e, in accordo con i dati dell’Istituto Turco di Statistica (TÜIK) fornito lo scorso mese, nel paese l’età media ha per la prima volta superato i 30 anni. Tuttavia, viste le chiare indicazioni sull’impossibilità della Turchia a farsi carico adeguatamente della popolazione esistente, non convince l’insistenza di Erdoğan che le coppie debbano avere almeno tre figli (se non quattro o cinque) per mantenere il dinamismo e la crescita economica della Turchia, difendendo l’idea con l’argomento “ogni figlio arriva con il sostentamento dato da Dio”. Si torna difatti alla questione del tempismo della nascente piattaforma anti-abortista che conviene all’AKP.

Già nel 2008, Erdoğan parlava del nemico – ancora innominato – alla sicurezza turca che più tardi avrebbe menzionato nel suo discorso paragonando l’aborto al  massacro di Uludere. In questa precedente occasione, di nuovo davanti ad una platea di donne turche, Erdoğan aveva ammonito: ”Vogliono sradicare la nazione turca!” spronando le donne a vendicarsi avendo più figli. Nel 2010 di nuovo aveva ripetuto il messaggio dicendo: “Se continuiamo con la tendenza attuale [di decrescita delle nascite], il 2038 segnerà un disastro per noi”, affermazione in linea con l’argomento secondo il quale alcuni sostengono che i kurdi potrebbero superare numericamente i turchi in Turchia, se permanesse l’attuale divario nel tasso delle nascite. Dal momento che la Turchia, nel suo passato recente, non ha dichiarato alcuna guerra tranne quella che ha luogo dentro i suoi stessi confini contro i “terroristi” del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), chi altro potrebbe essere il nemico non identificato? Se si aggiunge l’alto tasso di natalità kurdo, l’attuale conflitto armato con il PKK, la crescente persecuzione contro i kurdi accusati di terrorismo e – non dimentichiamo – il precedente storico della  brutale repressione del separatismo kurdo ad opera di Mustafa Kemal Atatürk, diventa chiaro che l’obiettivo finale di Erdoğan nella guerra alle donne è la popolazione kurda della Turchia.

La domanda da porsi è cosa verrà dopo, dopo l’attuale spinta per le restrizioni legislative all’aborto e ai parti cesarei e i dichiarati progetti per incentivi alle famiglie con più figli? Con Erdoğan che si prepara a concorrere alle prossime presidenziali del 2014 e apertamente chiede di sostituire l’attuale sistema parlamentare della Turchia con una “presidenza esecutiva”, così da consolidare il suo potere politico, se dovesse vincere queste previsioni sono particolarmente significative. Adesso è il momento di iniziare ad anticipare quella che sembrerebbe “l’ultima risorsa” strategica di Erdoğan per controbilanciare  la crescita demografica nelle regioni kurde della Turchia, o forse sarebbe meglio dire neutralizzare, vista la direzione verso la quale sembra che si stia muovendo. Sebbene egli abbia già rivelato alcune intenzioni, ad esempio con le sue recenti mosse per garantire una crescita demografica dell’etnia turca che, se esaminata alla luce della politica della Turchia sulla coscrizione obbligatoria, si traduce in più soldati, la discussione su questi temi dovrebbe essere alla base della critica ai nuovi piani politici di  Erdoğan per il futuro della Turchia.

Piuttosto che farsi completamente impantanare dalla
disputa strategica che l’AKP ha alimentato negli ultimi nove mesi con i suoi disegni di legge e con le dichiarazioni che miravano a fissare l’aborto come cardine del dibattito politico, sarebbe infinitamente più forte un rifiuto unitario di questa nuova agenda, sia nella sua forma sessista attuale sia nelle sue future dimensioni razziste. Se le femministe turche non si accorgeranno che la minaccia kurda alla visione di Erdoğan di “una nazione, un paese, una bandiera, uno Stato” (la somiglianza evidente all’”Ein Staat, ein Volk, ein Führer” di Hitler, che Ece Temelkuran ha fatto notare in un articolo del 2012 per Al-Akhbar English, è stata quasi del tutto ignorata) è alla base della sua insistenza verso le donne turche per dare alla luce più cittadini turchi, la divisione della Turchia su linee di genere e di razza sarà soltanto aggravata, proprio come vuole Erdoğan. Poiché il 2038 si avvicina sempre più, tale divisione predisporrebbe (il Presidente) Erdoğan e i suoi predecessori ad attuare metodi ancor più drastici per eliminare la minaccia kurda nei confronti del sogno turco.

 

1. Allo stesso tempo, si dovrebbe notare che, essendo un popolo senza Stato, non esiste in Turchia alcun censimento della popolazione kurda e sono pochi i dati statistici in alternativa a quelli realizzati dal TUIK e da altre fonti statali; diventa così legittimo avere dubbi su una possibile manipolazione passata o futura di questi numeri per adattarsi all’agenda nazionalista turca.

 

*Melissa Seelye è una redattrice freelance che attualmente risiede in Canada e una ricercatrice indipendente interessata alle donne e alle minoranze. Melissa sta attualmente conducendo una ricerca su colonialismo e donne, focalizzandosi sulle donne curde in Kurdistan e all’estero.

 

da Rojwomen.com    28 Febbraio 2013

 

 

 

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