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Iraq

Dalla morte ai dollari – come i kurdi si sono scoperti ricchi

[divider]1 Aprile 2013 [/divider]Il Kurdistan iracheno è stata la scena del peggior crimine commesso da Saddam. È anche la patria dei nuovi campi di petrolio del paese, i quali rappresentano sia un’opportunità sia una minaccia per il suo popolo.

Il Kurdistan si presenta come la nuova tigre economica del Medio Oriente, eccitato dalla prospettiva di esportare il suo petrolio. Le alte torri di due nuovi lussuosi hotel svettano nella capitale kurda Erbil, la più antica città abitata del mondo, il cui orizzonte era stato precedentemente dominato per migliaia di anni dalla sua antica cittadella.

Poco distante, un nuovo, luccicante aeroporto ha preso il posto dell’antica pista militare irachena. In contrasto con Baghdad e altre città irachene, le auto in strada sembrano nuove. Soprattutto, e ancora una volta in netto contrasto con le altre città del sud, la fornitura di energia elettrica è costante.

“Non riesco a trovare lavoratori che vadano a lavorare nel campo petrolifero”, si lamenta un dirigente kurdo di una compagnia petrolifera occidentale, “Non riesco neanche a trovare stanze libere negli hotel nuovi per le visite dei dirigenti, tanto sono pieni”. Convogli di lucidi veicoli neri che trasportano delegazioni di uomini d’affari da Germania, Francia, Turchia, Emirati Arabi Uniti attraversano la città. Molti di coloro che ora giungono in Kurdistan, non avrebbero potuto trovarlo sulle cartine qualche anno fa e non sono ancora sicuri di quale sia la sua posizione quando vanno via, commentano caustici i kurdi che li hanno incontrati. Ma non c’è alcun dubbio sull’entusiasmo internazionale del business per il governo regionale del Kurdistan (KRG), semi-indipendente, enclave nel nord Iraq che sta prosperando come nessun altra zona del paese. Un uomo d’affari kurdo dice: “Stiamo beneficiando di un boom economico in un periodo di austerità e di crescita rallentata che attraversa il resto del mondo, per questo i consigli di amministrazione delle compagnie internazionali sono particolarmente interessati a noi”.

Al centro dell’interesse ci sono 50-60 compagnie petrolifere straniere che cercano di localizzare e sfruttare il petrolio del Kurdistan, a condizioni migliori e con condizioni di sicurezza e sostegno ufficiale migliori rispetto a quanto possono trovare nel resto dell’Iraq. Questo flusso ha preso avvio con piccole e sconosciute compagnie negli anni successivi alla caduta di Saddam nel 2003. Ma l’interesse straniero è cresciuto, le dimensioni delle compagnie petrolifere sono aumentate, tanto che nel 2010 la ExxonMobil ha firmato un contratto di esplorazione con il KRG. Il governo centrale di Baghdad era furioso e ha minacciato di punire la Exxon, che ha grandi interessi nel sud iracheno, ma ciò non ha impedito ad altre compagnie petrolifere come Chevron, Total e Gazprom dal firmare accordi per ulteriori affari.

Quando i kurdi, inizialmente, hanno incoraggiato le compagnie petrolifere straniere a cercare petrolio sul territorio che controllavano, Baghdad era ottimista. Nel 2007 l’allora Ministro per il petrolio, ora vice Primo Ministro con delega all’energia, mi disse che, anche se le società petrolifere straniere avessero trovato il petrolio, non sarebbero state in grado di esportarlo. Chiedeva in maniera sarcastica: “Lo vogliono trasportare con i secchi?”. Ma questo calcolo è cambiato radicalmente nell’ultimo anno. Un nuovo gasdotto è stato costruito tra il KRG e la Turchia che, teoricamente, permetterebbe ai kurdi di esportare greggio e farlo pagare senza l’autorizzazione di Baghdad. Ciò darebbe ai cinque milioni di kurdi iracheni la possibilità di avere uno stato economicamente e politicamente indipendente per la prima volta nella loro storia, dopo decenni di guerra, pulizia etnica e genocidio. Dall’altra parte la Turchia potrebbe decidere che non è nel suo interesse sfidare Baghdad e dividere l’Iraq.

L’autodeterminazione è vicina, ma non ancora realtà. Un osservatore kurdo ha detto: “Noi kurdi viviamo una delle più complicate situazioni politiche del mondo”. Sembrerebbe facile da dimenticare nell’attuale atmosfera delle città fiorenti del KRG. In primo luogo la regione kurda autonoma non ha sbocco al mare e deve fronteggiare da tutte le parti potenti stati – Turchia, Iran, Siria e il resto dell’Iraq – che stanno opprimendo i kurdi presenti nei loro confini o li hanno oppressi negli anni recenti. Il KRG può essere un rifugio al momento, ma il conflitto non è da escludere. Siria, Iraq e Turchia stanno combattendo diverse guerriglie con diversi livelli di intensità appena oltre le frontiere del KRG. Nelle ultime settimane al-Qaeda ha fatto saltare in aria la principale stazione di polizia di Kirkuk a 50 miglia a sud di Erbil con la tecnica degli attentati suicidi, e assassinato un generale e le sue guardie del corpo a Mosul, stessa distanza a ovest.

La geografia politica del Medio Oriente sta cambiando per ora a favore dei kurdi iracheni, ma la tendenza potrebbe non essere sempre questa. Il KRG è costituito da tre province, Erbil, Dohuk e Sulaimanya, che hanno ottenuto l’autonomia di fatto nel 1991, dopo la rivolta kurda che ha seguito la prima guerra del Golfo. Quest’area è cresciuta enormemente dopo il 2003 quando i peshmerga kurdi guadagnavano terreno e le forze di Saddam Hussein crollavano. I kurdi conquistarono Kirkuk e i suoi giacimenti di petrolio nonché una fascia di territorio a nord e ad est di Mosul, e non hanno mai voluto rinunciarvi. Un altro aspetto esplosivo dell’accordo con ExxonMobil nel 2010 è che tre dei sei suoi pozzi esplorativi sono al di fuori dei territori del KRG, in zone contese tra curdi e arabi e tra Erbil e Baghdad. Lo scorso anno i peshmerga e le truppe irachene si sono confrontati lungo la cosiddetta “trigger line”, che si estende dalla Siria ai confini iraniani.

È una fase di cambiamenti politici mai visti nella regione. L’Iraq, come paese, si sta avvicinando alla disintegrazione come stato unitario, ma questo non è inevitabile. Vecchie alleanze vanno disgregandosi e si abbracciamo nemici odiati. Massoud Barzani, a lungo demonizzato in Turchia, è stato ospite di una conferenza tenuta dal partito AKP al governo in Turchia, dove gli è stata tributata una “standing ovation”. I kurdi iracheni si stanno rivolgendo verso Ankara allontanandosi da Baghdad. Da un decennio le aziende turche si sono introdotte nei territori del KRG e hanno avviato commerci per un fatturato minimo di 8 miliardi di dollari (5.3 miliardi di sterline) all’anno. L’alleanza tra sciiti e kurdi è stata la spina dorsale della soluzione post-Saddam mediata dagli americani, ma oggi appare indebolita. Barzani e il Primo Ministro iracheno, Nouri al-Maliki, si parlano a mala pena. I kurdi, come tutti gli altri avversari di al-Maliki, sentono che quest’ultimo ha rinnegato gli accordi di condivisione, in particolare quando si tratta di accordi militari e di sicurezza.

Quando nel 2003 sembrava vicina la possibilità di un attacco degli Stati Uniti all’Iraq dal confine settentrionale, con l’appoggio di 40.000 soldati turchi, i kurdi, terrorizzati, manifestavano vigorosamente in segno di protesta. In questi giorni l’alleanza turca con il KRG sembra, a molti, un’alternativa più rassicurante che trattare con il governo caotico e sempre più ostile di Baghdad. Le relazioni tra arabi e kurdi si stanno indebolendo sotto molti aspetti. Prima di tutto l’influenza kurda a Baghdad è in declino, soprattutto dopo l’esordio della malattia invalidante del presidente Jalal Talabani, che aveva in precedenza svolto un ruolo di conciliazione nella politica irachena. Se si scende a livello del popolo, sono pochi i kurdi che parlano arabo rispetto a quanto accadeva venti anni fa, quando molti erano ex soldati dell’esercito iracheno. Sono pochi i kurdi che viaggiano fino a Baghdad e solo per urgenze di lavoro a causa dei pericoli che si corrono, mentre molti vanno in Turchia per le vacanze. Solo pochi anni fa la Turchia chiudeva periodicamente il ponte Khabour, principale punto di passaggio tra il KRG e la Turchia, teatro di enormi ingorghi stradali. In questi giorni è Baghdad che cerca di aumentare l’isolamento del KRG, rifiutando perfino di consentire il sorvolo del suo territorio all’aereo che trasportava il ministro turco dell’energia diretto ad una conferenza ad Erbil.

Il Kurdistan è cambiato enormemente negli ultimi dieci anni. In diversi momenti nel corso degli ultimi 40 anni la causa kurda sembrava essere irrimediabilmente persa. Nel 1975 le sue forze, guidate dal Mullah Mustafa Barzani, padre dell’attuale presidente del KRG Massoud, sono state tradite dagli USA e dallo Shah dell’Iran che improvvisamente avevano ritirato il proprio supporto mentre i kurdi erano impegnati nella battaglia contro l’esercito iracheno. Saddam Hussein sembrava aver raggiunto il trionfo e le prospettive per l’autodeterminazione kurda apparivano chiuse per sempre. Ma lo Shah è caduto e Saddam ha invaso l’Iran nel 1980 portando gli iraniani a rinnovare il sostegno ai kurdi iracheni. Ma l’avanzata di Saddam ha ripreso il controllo di gran parte del paese, tanto che l’Iran si è visto costretto nel 1988 ad accettare la tregua, lasciando soli i kurdi ad affrontare la vendetta di Saddam. Molti sono morti per i gas ad Halabja e 180.000 civili sono stati massacrati nella campagna al-Anfal del 1988-1989. Ancora una volta si aprì un periodo buio per i kurdi, finché Saddam invase il Kuwait
e fu sconfitto nel 1991. I kurdi insorsero di nuovo senza ottenere l’appoggio degli USA, e furono costretti a fuggire a milioni davanti alla prospettiva di un contrattacco iracheno. A causa delle proteste internazionali gli USA dovettero cedere e mettere in salvo i kurdi istituendo una no-fly zone.

Il Kurdistan era devastato. La gente era stata costretta a fuggire verso le città e 3.800 tra città e villaggi erano stati distrutti. Un’oppressione pari a quanto fatto dagli eserciti di Hitler in Polonia e Ungheria. Il terreno è stato ricoperto di mine anti-uomo come grandi funghi gialli e bianchi. Le montagne sono state spogliate dagli alberi per riscaldarsi e cucinare. I due principali partiti, il Partito Democratico del Kurdistan di Barzani e l’Unione Patriottica del Kurdistan di Talabani, hanno peggiorato la situazione combattendo una feroce quanto del tutto inutile guerra civile.

Il contrasto tra il Kurdistan come campo di battaglia in rovina e il suo aspetto attuale è tale da lasciare con il fiato sospeso. Può addirittura portare a far perdere il senso della realtà ai suoi leader. Una voce critica ha così commentato: “Stiamo facendo oggi con i turchi gli stessi errori che abbiamo fatto con gli americani e lo Shah nel 1975. Ancora una volta stiamo facendo eccessivo affidamento su una potenza straniera”. Per tutto lo sviluppo economico il KRG rimane ancora dipendente ricevendo il 17% dei proventi del petrolio iracheno, proporzionalmente alla sua popolazione. Al KRG piace autopresentarsi come “l’altro Iraq”, così diverso dal resto del paese. Tuttavia ci sono cose che funzionano nello stesso modo. Ad esempio circa 660.000 kurdi sono impiegati nel settore pubblico, anche se almeno la metà di loro non fa assolutamente nulla. Gran parte delle entrate governative serve per pagarli e senza la quota dovuta per le vendite di petrolio l’economia collasserebbe. “La facilità con cui si possono fare affari a Erbil invece che a Baghdad è enorme”, dice un uomo d’affari. “Rispetto al resto del mondo è spazzatura”. Un segno che molti kurdi sono consapevoli che la continua dipendenza economica da Baghdad è all’origine del forte calo dei prezzi degli immobili a Erbil negli ultimi tre mesi, un calo attribuito a disaccordi con Baghdad.

Il Kurdistan potrà anche avere una maggiore sicurezza economica e una migliore direzione politica di Baghdad ma è altrettanto corrotto. Io lo chiamo “Corruptistan”, ha detto una donna. “Io vivo in una zona circondata da case di direttori generali che lavorano per il governo”, ha detto un’altra fonte. “Ho uno stipendio più alto di tutti loro, ma hanno una casa tre volte più grande della mia”. Si è lamentato del fatto che ci siano voluti mesi per trovare una buona scuola per la figlia così come per trovare un ospedale per un amico malato. Erbil potrà anche avere diversi hotel a cinque stelle, ma sono pochi i kurdi normali che li frequentano, tanto che molti tassisti locali non ne conoscono la posizione.

Per molti aspetti le eccessive aspettative suscitate dalla “tigre” kurda sono simili a quelle che aleggiavano intorno alla “tigre” celtica in Irlanda prima del 2008. Entrambe le nazioni sono piccole, sono state a lungo oppresse e impoverite, e sentono che la storia le ha trattate ingiustamente. Dopo aver sopportato tempi duri così a lungo, entrambe possono cadere nella tentazione di scambiare una bolla di sapone per un boom economico permanente. Decisioni importanti dovranno essere prese dai kurdi e dai loro vicini quando il gasdotto verso la Turchia sarà completato. Un esperto di Kurdistan si chiede: “La Turchia bluffa o intende rinunciare a Baghdad? La vedono come una caduta definitiva nelle mani dell’Iran?”. I kurdi mantenendo l’equilibrio tra Turchia, Iran e Baghdad si sono messi nel mezzo di un gioco di azzardo dalla posta molto alta. Finora hanno avuto successo, ma rischiano di esagerare.

Erbil, 7 marzo 2013

The Indipendent – Patrick Cockburn

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