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Interviste

L’autodeterminazione non può essere ridotta alla creazione di uno Stato

La giornalista Filiz Gazi a colloquio con il Dr. Ahmet Hamdi Akkaya dell’Università Complutense Madrid;  L’intervista è stata pubblicata in originale il 05 ottobre 2017 nel portale di notizie Artı Gerçek con il titolo „Politik tercih bağlayıcı hukuki ilkeye dönüşmeli“.

È noto che gli USA hanno partecipato al sequestro di Öcalan in Kenia nel 1999. È noto anche che gli USA in passato hanno aperto lo spazio aereo del Kurdistan del sud per aerei da guerra turchi e che c’è stata una collaborazione tra servizi segreti. Ora gli USA forniscono armi alle YPG e YPJ. Qual è qui l’obiettivo della politica internazionale che si adatta alle rispettive condizioni. Come valuta le critiche che parlano di speranze del movimento curdo rispetto all’imperialismo?

Una parte di coloro che esprimono critiche del genere, in questo modo cercano di liberarsi dei propri pesi. L’agire della Russia e dell’Iran viene rappresentato grossolanamente come anti-imperialismo, il loro ruolo nella guerra civile siriana consapevolmente tralasciato. Con questa politica si vogliono discreditare e isolare i curdi. Noi ricordiamo che durante il grande attacco di IS contro Kobanê nell’ottobre 2014 gli USA hanno esitato a lungo per intervenire, prima di decidere diversamente per via della pressione internazionale.   L’atteggiamento di una persona che si schiera contro il sostegno aereo si può tradurre grosso modo nelle seguenti parole: „Va bene se lì morite. Ma viva l’anti-imperialismo.“ Io penso che un posizionamento del genere non si difendibile né moralmente né politicamente. Io capisco l’avvertimento ai curdi rispetto agli USA. Ma mentre lo si fa, non si può negare la lotta condotta in Rojava dal 2012 e il sistema che lì è stato costruito. Dall’altro lato l’avvicinamento degli USA al Rojava è di tipo militare. Se questo si sposta su un livello politico, allora un’ostilità nei confronti del PKK è molto probabile. Infine è utile guardare ad esempi storici. Con questo faccio riferimento ad esempi come l’alleanza tra Unione Sovietica e USA durante la Seconda Guerra Mondiale o l’avvicinamento di Ho Chi  Minh in Vietnam nei confronti degli USA negli anni 1941-74. Se aree del genere avessero visto fotografie di Ho Chi  Minh e del Generale Giap con esperti dell’OSS, probabilmente avrebbero bandito anche loro.

Come si può esistere nella politica internazionale senza diventare uno Stato? I massacri di popoli senza Stato occupano l’agenda internazionale. Questo in un certo senso non è il vicolo cieco nel Medio Oriente? Come ci si deve avvicinare all’autodeterminazione?

Per provare la correttezza del diritto di autodeterminazione questi argomenti non servono. Il governo regionale del Kurdistan del sud era una struttura statuale e negli ultimi 15 anni è riuscito ad esistere nella politica internazionale. La discussione fondamentale si basa sul vecchio sistema della Vestfalia di oltre 350 anni fa e il diritto di autodeterminazione dei popoli che ha cento anni. Il primo definisce gli Stati come identità di base del sistema internazionale. Il secondo affronta la questione di chi ha diritto a uno Stato e come questo gli viene riconosciuto. Entrambe le questioni nel tempo hanno vissuto cambiamenti sostanziali. C’è un approccio legalista pro e contro il diritto l’autodeterminazione. Un esempio attuale è a decisione della corte costituzionale spagnola di dichiarare illegale il referendum in Catalogna perché i catalani non sarebbero un popolo a sé.

Dall’altro lato l’autodeterminazione è nata come un principio politico e ha avuto la forma di una legge. In sostanza in questo diritto si tratta del fatto che i popoli in questo modo determinano il loro stato, si sviluppano finanziariamente, socialmente ed economicamente e possono decidere di come vogliono usare le loro risorse naturali e le loro ricchezze. In questo senso l’autodeterminazione non può essere ridotta al separatismo o alla fondazione di uno Stato. Come mostrano i lavori nel contesto dell’ONU e la Commissione di Venezia, la realizzazione dell’autodeterminazione può essere attuata in diversi modi.

Cosa pensa dei risultati del referendum nel Kurdistan del sud? Come può svilupparsi la situazione.

È emersa una volontà politica chiara. Ora il punto è se da questo nascono relazioni vincolanti dal punto di vista legale o meno. Come verrà messa in pratica questa affermazione di volontà politica, contro la quale si posizionano in modo veemente Stati come la Turchia o l’Iran? Il governo autonomo del Kurdistan del sud ha dichiarato che vuole recarsi a Bagdad con i risultati referendari in valigia per trattare con il governo irakeno. Gli Stati vicini invece parlano di tutte le sanzioni possibili, dall’embargo fino alla guerra. Non basta rispondere a queste minacce che si deve avere rispetto della volontà della popolazione. La fase futura dal punto di vista della situazione finanziaria, politica e diplomatica del Kurdistan del sud sarà molto intensa. Spero che questa fase non sbocchi in un intervento militare come quello da parte dell’esercito turco nel 1991 o dell’ingresso delle truppe di Saddam nel 1996 a Hewler (Erbil).

Come politologo certamente sarà senz’altro d’accordo sul fatto che a prescindere dall’ideologia di appartenenza, la conquista del potere da parte di un gruppo porta sempre agli stessi risultati. Quando ho letto il contratto sociale del Rojava, mi è venuta in mente la seguente domanda: cosa potrebbe aspettare gli yazidi e gli arabi che vivono lì nel peggiore dei casi?

Questo è un rischio o un pericolo con il quale si confronta ogni rivoluzione e ogni movimento sociale. Per questo non ha senso rifiutare categoricamente questo rischio. Nel primo passo può essere giusto continuare a citare un rischio in essere di questo genere o agire di conseguenza in modo consapevole. Poi bisogna confrontarsi con le fasi dello sviluppo del movimento curdo. Su questo tema c’è una consapevolezza che continua a svilupparsi in modo crescente a livello teorico e del pensiero. Il movimento curdo finora ha seguito uno spunto nel quale ha difeso e sostenuto la forza e l’organizzazione autonoma delle aree oppresse – sia politicamente che militarmente. Questo si può vedere a Şengal e nel Rojava. Tutto questo per il futuro significa un inizio positivo. Perché non si verifichi questo suddetto “peggiore dei casi”, questo tipo di approccio e di pratica vanno ulteriormente approfonditi.

 

 

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