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“Berxwedan. La resistenza del popolo kurdo contro il genocidio di Erdogan”

“I kurdi non hanno amici tranne le montagne” cita un proverbio kurdo. Un detto che, purtroppo incarna una cruda  realtà, considerato che il popolo kurdo è stato – ed è, tra i più perseguitati al mondo. I kurdi sono un popolo lacerato, tradito e senza una terra.Nel trattato di Losanna del 1923 risiede il germe dello sradicamento del Kurdistan in favore della Turchia che riconquistava i pezzi di territorio che il Trattato di Sèvres (1920) le aveva negato. Con quel patto il Kurdistan non è più uno Stato, e ciò che ne resta viene distribuito tra Turchia, Siria, Iran e il Regno “facciata” dell’Iraq creato da Londra. Il Kurdistan si presenta tutt’oggi diviso in: Bakur (Nord della Turchia), Bashur (in Iraq), Roijhelat (Est dell’Iran), Rojava (Ovest della Siria).
Al popolo kurdo è stato negato il diritto all’autodeterminazione e ad esistere, e le sofferenze subite nei secoli sono state dimenticate.

Per questo Berxwedan. La resistenza del popolo kurdo contro il genocidio di Erdogan (Edizioni Punto Rosso, Milano, 2023) di Laura Schrader, giornalista dalla fine degli anni 70′ a fianco del popolo kurdo e delle loro battaglie, tanto da diventare una tra le maggiori giornaliste italiane esperte in materia, è importante in quanto riporta in superficie eventi, fatti e personaggi spesso dimenticati, costretti nell’ombra, e talvolta sconosciuti o volontariamente ignorati. Berxwedan prova quindi a restituire giustizia e dignità ai kurdi, mettendoli al centro della storia anziché ai margini.

Attraverso il profondo significato delle parole e della loro etimologia, Schrader ricostruisce la storia della resistenza kurda, dalle sue radici alle molteplici forme che nel tempo ha assunto. Una resistenza obbligatoria e necessaria per poter continuare ad esistere nella propria identità di popolo e contrastare la persecuzione e il genocidio da parte dei regimi, in special modo di quello turco di Erdoğan.
Simbolo faro di questo testo è appunto il termine Berxwedan, composto da ber – dare, xwe – te stesso e dan – davanti. Parole che unite formano il vocabolo resistenza, una resistenza che, come enuncia il termine dan, non è statica, bensì proiettata in avanti, verso il futuro e carica di forza propulsiva E con la medesima energia nel libro si susseguono volti e storie di personalità kurde che hanno segnato il destino di questo popolo e plasmato la rivoluzione. Tra queste sono emblematiche le figure di Abdullah Öcalan e Sakine Cansiz (Heval Sara), personaggi a cui Schrader dedica due capitoli.


Abdullah Öcalan, filosofo e rivoluzionario kurdo, fondatore del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), è una figura fondamentale ancora oggi per i kurdi, che riconoscono in lui l’incarnazione degli ideali del Confederalismo democratico, di pace e giustizia. Il suo ritratto, ricorda l’autrice, fu innalzato alle spalle delle combattenti kurde dopo la loro conquista di Raqqa, ultima roccaforte dello Stato islamico in Siria. Öcalan è rinchiuso da quasi 25 anni nell’isola-carcere di Imrali, in Turchia, e come ricorda Schrader, nel 2020 la Turchia ha respinto 96 richieste di visita presentate dai legali del leader kurdo.

Grazie anche alla presenza di un contributo della nipote Ayney Öcalan, nel testo si ripercorrono le fasi che hanno segnato il sequestro e l’incarcerazione del leader kurdo che aveva dovuto abbandonare la Siria (dove era stato rifugiato per anni) a causa delle pressioni del Governo turco. Dopo essersi rifugiato in Russia, nel novembre 1998 giunse a Roma, ma anche da qui, dopo una prima accoglienza da eroe, fu invitato ad andarsene a causa di due mandati da arresto (uno tedesco l’altro turco). Nel febbraio del 99’, su consiglio del governo greco, si recherà quindi in Kenya dove verrà sequestrato e consegnato, come un terrorista, agli agenti di Ankara, azione che sarà applaudita da Bill Clinton e Benjamin Netanyahu che si congratularono con la Turchia, confermando così il peso che l’asse Ankara-Washington-Gerusalemme ebbe in questa vicenda, passata alla storia come “il tradimento”.

Il detto “I kurdi non hanno amici tranne le montagne” si rivela, anche in questo caso, veritiero.

Un’altra storia simbolo per i kurdi e le kurde fondamentale in questo libro è quella di Sakine Cansiz (Heval Sara). Sara sarà uccisa il 9 gennaio 2013 in un attentato (una vera e propria esecuzione) a Parigi presso il Centro di Informazioni del Kurdistan in cui prestava servizio, assieme alle compagne Fidan Dogan (Rojbin) e Leyla Saylemelez (Ronahi). Tra le fondatrici del PKK e del movimento delle donne kurde, oltre che rivoluzionaria del movimento di liberazione kurdo, Sakine nel 1979 viene arrestata dalle autorità turche e per dieci anni resisterà alle torture.

Schrader scrive: “La forza del suo esempio è tale che, mentre nelle altre sezioni maschili e femminili accade che i prigionieri si pieghino alle torture, nella sezione femminile dove si trova Sakine nessuna donna tradisce”.

Per l’esecuzione di Heval Sara e delle sue compagne sarà accusato Omer Guney, malato da tempo, che agì su ordine dei Servizi turchi. I responsabili non vennero mai chiamati in giudizio e restano tutt’ora impuniti.

I casi di Öcalan e di Sakine sono rappresentativi dell’esperienza stessa del popolo kurdo: abbandonato, tradito e dimenticato. Esattamente come capitato ai loro leader, anche i kurdi hanno sperimentato sulla loro pelle questo trattamento da parte delle potenze mondiali.
Berxwedan continua dedicando alcuni capitoli alla denuncia del genocidio perpetuato dal regime di Erdoğan, raccontando in parallelo le “resistenze” messe in atto, negli anni, dal popolo kurdo per cercare di continuare ad esistere.

Tra queste “resistenze” significativa è la protesta silenziosa delle Madri del Sabato (Cumartesi Anneleri), sorta il 27 maggio 1995 per chiedere giustizia e verità circa gli scomparsi e le vittime di omicidi politici cui colpevoli sono stati protetti dallo Stato (in turco faili meçhul). Donne e madri arrivano da ogni parte del Kurdistan, anche da villaggi sperduti, al petto stringono la foto di un loro caro scomparso o assassinato durante il colpo di stato degli anni 80’ e durante i tumultuosi anni 90’, sfidando gli agenti della piazza di Galatasaray, ad Istanbul.
Le veglie verranno interrotte nel 1999, per continuare in Kurdistan e all’estero.

Nel frattempo il regime turco proseguirà la sua guerra di annientamento contro i kurdi, e nel 2011, quando Erdoğan è primo ministro, riprenderanno  le operazioni di cielo e terra sul monte Qandil e in altre zone del Nord dell’Iraq, e successivamente a Sirnak. Nel 2015 il raduno delle madri, considerate dal governo turco al pari di un’organizzazione terroristica, vengono vietate, e le donne che si radunano per vegliare vengono brutalmente respinte dagli agenti e arrestate. Tra queste, ricorda l’autrice, c’è Emine Ocek: nonostante i suoi 82 anni viene aggredita dalla polizia.
Da queste storie risulta chiaro che chiunque provi a far valere i diritti dei kurdi viene silenziato. Il regime turco è nemico dei kurdi, come lo è l’organizzazione terroristica dell’Isis. Non a caso l’autrice intitolerà un capitolo Turchia e Isis, la stessa visione del mondo, citando il titolo di un paragrafo di una ricerca dell’Istituto per lo studio dei diritti umani della Columbia University pubblicata nel novembre 2014.

Questa scelta non è casuale, Schrader infatti tra la documentazione che prende come riferimento per questo libro ha scelto quella più neutrale, indiscutibile, proveniente da grandi istituzioni (Onu, Eu…) o di università americane e occidentali. Nel capitolo Afrin colonia turco-jihadista, ad esempio, facendo riferimento alle testimonianze raccolte dallo Yale Journal of International Affairs, riporta le violenze sessuali e le torture subite da minori e dai ragazzi ad Afrin dopo l’occupazione turca e l’operazione militare denominata Ramoscello d’ulivo (2018). Questa  operazione condusse alla devastazione del territorio di Afrin e costrinse alla vita nei campi profughi il 70% della popolazione. Attingere a fonti istituzionali rimarca, forse ancor più duramente, la tragicità dei fatti che il popolo kurdo ha dovuto soccombere, e non lascia spazio a dubbi interpretativi.

Berxwedan, concludendo, intervalla vicende politiche e storiche-sociali, ricostruendo attraverso i simboli della resistenza kurda (il foulard rosso indossato da Ayse Denizla, la “Guernica turca” di Zehra Dogan, la chitarra di Nudem Durak) la storia di un popolo che trova rifugio tra i nascondigli delle sue montagne.

 

Silvia Cegalin

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