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Donne

Argentieri: il mondo deve riconoscere la realtà della rivoluzione del Rojava

L’agenzia ANHA ha intervistato la giornalista e regista italiana Benedetta Argentieri in visita in Rojava, per parlare della situazione nella regione, della rivoluzione in Rojava e della lotta delle donne.(NdR: riportiamo qui una traduzione adattata basata sul testo come pubblicato in lingua inglese sul sito dell’agenzia stampa ANHA)

ANHA ha potuto intervistare la giornalista e regista italiana Benedetta Argentieri durante la sua visita nelle regioni della Siria del nord e dell’est (Rojava) per parlare della realtà della rivoluzione del Rojava, della lotta delle donne in questa rivoluzione e del sanguinoso conflitto della crisi siriana.

Quali sono le sue osservazioni rispetto a quando è venuta qui la prima volta nel 2014? Ora, quest’anno cosa ha visto cambiare dal punto di vista militare, sociale e in termini di sistema?

Molte cose sono cambiate perché quando sono stata qui nell’ottobre 2014 la guerra a Kobane era in pieno svolgimento e parte di questa struttura sociale non era organizzata com’è ora. Come si sa, nulla è perfetto perché siamo tutti umani, ma io penso che sia di grande ispirazione per altri posti nel mondo vedere che si può effettivamente raggiungere quello che si cerca.

I Paesi del mondo sono stati in grado di comprendere il vero significato della rivoluzione del Rojava così com’è nei fatti?

In questo momento sembra un po’ difficile a livello internazionale. D’altronde i media che vengono sul posto per monitorare i fatti, si concentrano solo su una questione senza prestare attenzione agli altri temi. Per questo durante la mia visita cerco di approfondire e analizzare le dimensioni di questa rivoluzione e le sue prospettive in diversi ambiti. I media si concentrano solo sulle donne che portano le armi e affrontano i mercenari, senza rivolgersi alla lotta dei popoli di questa regione e senza rivolgersi al background politico di questa rivoluzione. La loro lettura della rivoluzione è rimasta superficiale. La rivoluzione del Rojava è stata in grado di occupare un posto prestigioso nella storia. Io penso che la lettura di questa rivoluzione non abbia raggiunto il livello in cui si possono comprendere tutti gli aspetti del sistema di governo e amministrazione che hanno guidato questa rivoluzione. In particolare in questa fase dopo la liberazione da Daesh, i timori degli Stati rispetto all’organizzazione Daesh si sono fermati e non c’è un vero desiderio di andare a guardare il sistema dell’Amministrazione Autonoma della regione perché nel momento in cui le YPG, YPJ e FDS stavano liberando la regione, c’era un’unica amministrazione che gestisce la regione.

Rispetto al ruolo delle donne in questa rivoluzione e alla capacità dei media di trasmettere la realtà della lotta delle donne?

Argentieri a questo riguardo ha detto che l’attenzione dei media si è concentrata solo sulle donne che prendono le armi contro i mercenari senza citare lo sviluppo ideologico e intellettuale delle donne (ricordo la ragazza martire delle Unità di Difesa delle Donne (YPJ) quando la notizia del suo martirio ha avuto i titoli di prima pagina dei giornali a livello mondiale), ma sfortunatamente la vera rivoluzione delle donne non è stata capita in tutte le sue sfaccettature.

La rivoluzione delle donne in Rojava e il suo ruolo guida in accanite battaglie contro il terrorismo ha fatto sorgere preoccupazioni dei regimi capitalisti che ancora considerano missione della donna solo prendersi cura dei bambini e della casa, e che ancora vogliono limitare il ruolo delle donne. La lotta delle donne in Rojava è stata in grado di generare fiducia nelle donne e di creare una forte volontà nel cuore delle donne in tutte le parti del mondo. Di fatto questa lotta ha portato un grande cambiamento nella mentalità. Come ho detto a un giornalista dell’agenzia ANF, quello che è unico in questa rivoluzione è lo spirito di collaborazione e la solidarietà tra donne che manca nelle società del mondo.

Lei pensa che le organizzazioni e i movimenti delle donne nel mondo siano consapevoli della realtà della rivoluzione e della lotta delle donne qui nella regione?

Io penso di si, che lo stiano facendo e questo da speranza in molti sensi. Io posso dire che nessuna donna, associazione o movimento delle donne nel mondo possa negare la realtà di questa rivoluzione delle donne in Rojava perché questa rivoluzione, dove le donne guidavano i fronti di battaglia ha colpito molto, questa rivoluzione può essere applicata in altri posti e non solo militarmente. Tutte queste conquiste sono emerse dalla rivoluzione del Rojava, in particolare la lotta delle donne curde che ha un impatto profondo sui movimenti delle donne nel mondo. Di fatto questa lotta non è iniziata dalla guerra a Kobane, ma da una lotta precedente delle donne curde, non solo dal Rojava, e si è sviluppata fino a questo punto di lotta rivoluzionaria.

Perché gli altri Paesi coinvolti nel mettere fine al conflitto in Siria non trovano una soluzione politica ai sensi della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 2245 sulla Siria, che ha stabilito che le decisioni nel Paese spettano al popolo siriano e non lavorano in modo decisivo nell’eliminare il terrorismo rappresentato da Jabhat al-Nusra e ISIS?

Io penso che una delle ragioni sia la crisi politica nelle Nazioni Unite. Nessun Paese in conflitto ha rispettato le risoluzioni dell’ONU. Questo è dovuto all’inefficacia delle Nazioni Unite nonostante gli sforzi che hanno fatto dal 2012. Le aree autonome e curde sono state escluse da Astana e dal resto degli incontri, quindi la crisi siriana si è complicata a causa della mancanza di consapevolezza della realtà della crisi sul terreno e dell’assenza di parti efficaci che abbiano una soluzione effettiva per mettere fine al conflitto.

Per quanto riguarda l’intervento della Turchia nella crisi siriana e il suo esplicito sostegno al terrorismo, compresi Jabhat al-Nusra e Daesh, in quanto Paese della NATO, la giornalista ha detto:

“Di fatto la Turchia ha relazioni diverse con le superpotenze nel mondo come Russia, USA e Germania, cosa che causa contraddizioni a livello diplomatico. Per esempio abbiamo notato come James Jeffrey abbia confermato la prosecuzione del sostegno degli USA alle FDS in una conferenza stampa, ma questa dichiarazione non ha messo fine alle brame turche nella regione. Per quanto riguarda i Paesi europei, hanno condannato il comportamento turco nella regione, ma la Turchia, usando la carta dei rifugiati siriani, è stata in grado di esercitare pressione su di loro e far crescere le loro paure che possa aprire i confini a questi rifugiati perché questi profughi possano andare nei Paesi europei. Questo ha avuto riflessi politici sulle decisioni di questi Paesi e sulle loro relazioni con la Turchia. Quindi esitano a mettere sotto pressione lo Stato turco perché cambi le sue politiche nella regione.”

In base ai fatti citati, è possibile raggiungere una soluzione politica per questa regione in generale?

La giornalista ha risposto che sette anni dopo una sanguinosa guerra che ha portato distruzione, uccisioni e espulsione di persone, la soluzione politica è quella più appropriata, ma di fatto molte delle parti coinvolte nel conflitto dichiarano il loro impegno per una soluzione politica ai media e in occasione di incontri, ma sul terreno i conflitti armati si stanno intensificando nella direzione di un conflitto permanente, in particolare negli ultimi tre anni. Un buon esempio di questo è stata l’invasione di Afrin da parte dello Stato turco. Tutti affermavano di cercare la pace nella regione, ma come mai hanno permesso alla Turchia di invadere Afrin?

Se la Turchia invade aree della Siria del nord e dell’est, quali sono le conseguenze di questa invasione nella regione?

È difficile predire il risultato di questa invasione, ma certamente questa invasione porterà conseguenze catastrofiche per la regione e la porterà verso un conflitto complessivo che renderà più difficile la vita dei civili e aumenterà le loro sofferenze, in particolare della gente della Siria del nord e dell’est.

La giornalista e regista italiana Benedetta Argentieri ha concluso dicendo che ora sta lavorando per trasmettere la vera immagine della rivoluzione e della lotta delle donne in Rojava in tutti i suoi aspetti, perché è una lotta per le donne in generale. Ha diretto il film proiettato al Festival del Cinema di Amed in Bakur (Kurdistan del nord) intitolato “I Am The Revolution” che è uno stimolante documentario su tre donne che lottano per la libertà e la parità di genere – Selay Ghaffar, Rojda Felat, e Yanar Mohammed – mentre vivono in tre dei Paesi peggiori al mondo per le donne: Afghanistan, Siria e Iraq. Ciascun Paese riflette l’ondata di rivoluzioni femministe: la rivoluzione politica in Afghanistan, armata in Siria, di attivismo dal bassi in Iraq. Il film mette in discussione l’immagine di donne velate, silenziose e timide nel Medio Oriente e mostra invece la forza della donne che si mobilitano sulle linee del fronte, in villaggi remoti e nelle strade delle città per farsi sentire e rivendicare i loro diritti. Il film ha avuto un grande impatto sulle donne che ammirano questa lotta.

ANHA

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