Kurdistan

Dono di Dio

Un anno fa è fallito il tentativo di golpe contro il Presidente turco Erdogan-L’ondata di arresti contro presunti sostenitori del tentativo di golpe continua senza sosta. Il predicatore Fethullah Gülen individuato a Erdogan come presunto responsabile del tentativo di golpe ha di nuovo respinto le accuse contro di lui. In un’intervista con l’agenzia stampa Reuters ha anche detto di non preparare una fuga dall’esilio negli USA verso il Canada. Invece accetterebbe un’estradizione in Turchia se gli USA la dovessero decidere. »Queste voci non sono affatto vere.« Gülen, che un tempo è stato alleato di Erdogan ha anche dichiarato di »non avere mai sostenuto un colpo di Stato o una deposizione dall‘incarico«.Un anno dopo il tentativo di golpe in Turchia, il Presidente Recep Tayyip Erdogan esclude la fine dello stato di emergenza. Un passo del genere »a fronte di tutto quello che succede è escluso«, ha detto il capo di Stato mercoledì in un discorso davanti a imprenditori ad Ankara. »Revocheremo lo stato di emergenza solo quando non dovremo più combattere contro il terrorismo.« Erdogan ha però aggiunto: una revoca »può essere possibile in un futuro non troppo lontano«. Un termine non l’ha indicato.

Il governo turco ha chiesto a Washington la consegna di Gülen che dal 1999 per sua scelta vive in esilio. Rappresentanti del governo USA hanno tuttavia reso chiaro che la Turchia non ha ancora presentato sufficienti prove.

Il governo di Ankara per via degli arresti di massa è accusato di non rispettare i diritti umani e la libertà di stampa. Allo stesso tempo le relazioni della Turchia con molti Paesi europei negli ultimi mesi sono peggiorate. (Reuters/jW)

Era il 15 luglio 2016 verso le 22,00 quando improvvisamente aerei da combattimento sorvolarono Ankara a volo radente e a Istanbul arrivarono carri armati in Piazza Taksim, sui ponti del Bosforo e all’aeroporto. Ad Ankara elicotteri da combattimento spararono sulla sede dei servizi segreti, una bomba colpì il Parlamento. Un »Consiglio per la Pace in Patria« proclamò tramite l’emittente televisivo statale TRT occupato di aver preso il potere dello Stato. Ma attraverso un telefonino puntato verso la telecamera il Presidente Recep Tayyip Erdogan verso le 22.30 si rivolse alla popolazione. Fece appello perché andassero nelle piazze pubbliche e affrontassero i golpisti. Centinaia di migliaia di persone scesero in strada, si piazzarono di fronte ai soldati e si arrampicarono sui carri armati. Alla fine i rivoltosi, che avevano con loro solo una minoranza dell’esercito, rinunciarono. 250 civili morirono sotto i colpi sparati dai golpisti. Giovani soldati che credevano di prendere parte a una manovra furono linciati da una teppa islamista.

Erdogan accusò il suo ex-alleato Fethullah Gülen di essere a capo del fallito colpo di Stato. I seguaci dell’Imam in pensione dagli anni ‘70 si erano sistematicamente infiltrati nell’apparato dello Stato in Turchia e sotto il governo dell’AKP ottenuto influenza anche nell‘esercito. Gülen a sua volta definì il tentativo di golpe una messa in scena di Erdogan. Ma in Turchia anche i partiti di opposizione sono convinti di una complicità del movimento di Gülen. Il coinvolgimento di strutture dell’esercito turco vicine alla NATO, come la base aerea di Incirlik, nella pianificazione e la vicinanza alla CIA di Gülen, che dagli anni ’90 vive in Pennsylvania, alimentarono le accuse mosse dal governo turco che gli USA avrebbero avuto le mani in pasta.

Un pilota di elicotteri ed ex-seguace di Gülen nel primo pomeriggio del 15 luglio aveva messo in guardia i servizi segreti rispetto a un golpe imminente. Dopo che il loro piano era stato scoperto, i golpisti decisero di colpire già nelle serali e non, come inizialmente previsto, solo alle 3 di notte. Questo, secondo il capo di stato maggiore Hulusi Akar, ha contribuito in modo determinante al fallimento del colpo di Stato. Ma resta senza risposte la domanda sul motivo per il quale i vertici dell’esercito e i servizi segreti non fecero arrestare prima i sospettati e non informarono Erdogan dei piani di sovvertimento. Sarebbe venuto a conoscenza del golpe solo a seguito di una telefonata da suo cognato, sostiene Erdogan. Quando dei soldati cercarono di arrestarlo nel suo luogo di vacanza sulla costa dell’Egeo, era già partito.

La maggioranza dell’AKP nella commissione di inchiesta parlamentare ha impedito la convocazione di testimoni chiave come il capo dei servizi segreti, del capo di stato maggiore e di Erdogan. L’opposizione di sinistra e quella kemalista di HDP e CHP ormai parla di un »golpe controllato«, al quale è seguito il contrattacco di Erdogan. Questa opinione è condivisa anche dall’ammiraglio Türker Ertürk, licenziato dall‘esercito nel 2010 ancora durante il periodo dell’alleanza tra AKP e Movimento Gülen, nel documentario dell’ARD »Die Nacht, als die Panzer rollten [NdT: La notta quando rullarono i carri armati]«. Il governo avrebbe saputo in anticipo dei piani del Movimento Gülen, rimosso ostacoli e solo così reso possibile il golpe. Costringendo i congiurati a colpire prematuramente, secondo Ertürk la loro impresa sarebbe stata un parto prematuro controllato. »È stata la pietra miliare per intimidire l’opposizione e preparare il terreno per un nuovo sistema di dominio.«

Erdogan la mattina del 16 luglio definì il golpe »un dono di Dio «. Avvalendosi dello stato di emergenza nel giro di un anno sono stati licenziati 138.147 dipendenti pubblici, tra cui 7.317 docenti delle scuole superiori e 4.317 magistrati. 102.247 persone sono state arrestate, 50.987 accusati sono stati messi in carcerazione preventiva, contro circa 170.000 sono stati avviati procedimenti penali. 2.099 università, scuole e case dello studente sono state chiuse, 149 imprese del settore mediatico sono state espropriate o chiuse, 909 aziende sono state messe in amministrazione forzata. A livello complessivo sono stati confiscati da parte del governo impianti per un valore di oltre 35 miliardi di Euro. Non sono interessati solo presunti seguaci di Gülen, ma anche oppositori di sinistra, laici, curdi e sindacalisti.

Nelle condizioni determinate dallo stato di emergenza, ad aprile Erdogan ha fatto svolgere un referendum sull’introduzione di un sistema presidenziale grazie al quale ha ottenuto poteri quasi dittatoriali. Ma ad appena un anno dal golpe si fa rivedere l‘opposizione. Così domenica scorsa milioni di persone sono scese in piazza a Istanbul per la »giustizia«.

Era il 15 luglio 2016 verso le 22,00 quando improvvisamente aerei da combattimento sorvolarono Ankara a volo radente e a Istanbul arrivarono carri armati in Piazza Taksim, sui ponti del Bosforo e all’aeroporto. Ad Ankara elicotteri da combattimento spararono sulla sede dei servizi segreti, una bomba colpì il Parlamento. Un »Consiglio per la Pace in Patria« proclamò tramite l’emittente televisivo statale TRT occupato di aver preso il potere dello Stato. Ma attraverso un telefonino puntato verso la telecamera il Presidente Recep Tayyip Erdogan verso le 22.30 si rivolse alla popolazione. Fece appello perché andassero nelle piazze pubbliche e affrontassero i golpisti. Centinaia di migliaia di persone scesero in strada, si piazzarono di fronte ai soldati e si arrampicarono sui carri armati. Alla fine i rivoltosi, che avevano con loro solo una minoranza dell’esercito, rinunciarono. 250 civili morirono sotto i colpi sparati dai golpisti. Giovani soldati che credevano di prendere parte a una manovra furono linciati da una teppa islamista.

Erdogan accusò il suo ex-alleato Fethullah Gülen di essere a capo del fallito colpo di Stato. I seguaci dell’Imam in pensione dagli anni ‘70 si erano sistematicamente infiltrati nell’apparato dello Stato in Turchia e sotto il governo dell’AKP ottenuto influenza anche nell‘esercito. Gülen a sua volta definì il tentativo di golpe una messa in scena di Erdogan. Ma in Turchia anche i partiti di opposizione sono convinti di una complicità del movimento di Gülen. Il coinvolgimento di strutture dell’esercito turco vicine alla NATO, come la base aerea di Incirlik, nella pianificazione e la vicinanza alla CIA di Gülen, che dagli anni ’90 vive in Pennsylvania, alimentarono le accuse mosse dal governo turco che gli USA avrebbero avuto le mani in pasta.

Un pilota di elicotteri ed ex-seguace di Gülen nel primo pomeriggio del 15 luglio aveva messo in guardia i servizi segreti rispetto a un golpe imminente. Dopo che il loro piano era stato scoperto, i golpisti decisero di colpire già nelle serali e non, come inizialmente previsto, solo alle 3 di notte. Questo, secondo il capo di stato maggiore Hulusi Akar, ha contribuito in modo determinante al fallimento del colpo di Stato. Ma resta senza risposte la domanda sul motivo per il quale i vertici dell’esercito e i servizi segreti non fecero arrestare prima i sospettati e non informarono Erdogan dei piani di sovvertimento. Sarebbe venuto a conoscenza del golpe solo a seguito di una telefonata da suo cognato, sostiene Erdogan. Quando dei soldati cercarono di arrestarlo nel suo luogo di vacanza sulla costa dell’Egeo, era già partito.

La maggioranza dell’AKP nella commissione di inchiesta parlamentare ha impedito la convocazione di testimoni chiave come il capo dei servizi segreti, del capo di stato maggiore e di Erdogan. L’opposizione di sinistra e quella kemalista di HDP e CHP ormai parla di un »golpe controllato«, al quale è seguito il contrattacco di Erdogan. Questa opinione è condivisa anche dall’ammiraglio Türker Ertürk, licenziato dall‘esercito nel 2010 ancora durante il periodo dell’alleanza tra AKP e Movimento Gülen, nel documentario dell’ARD »Die Nacht, als die Panzer rollten [NdT: La notta quando rullarono i carri armati]«. Il governo avrebbe saputo in anticipo dei piani del Movimento Gülen, rimosso ostacoli e solo così reso possibile il golpe. Costringendo i congiurati a colpire prematuramente, secondo Ertürk la loro impresa sarebbe stata un parto prematuro controllato. »È stata la pietra miliare per intimidire l’opposizione e preparare il terreno per un nuovo sistema di dominio.«

Erdogan la mattina del 16 luglio definì il golpe »un dono di Dio «. Avvalendosi dello stato di emergenza nel giro di un anno sono stati licenziati 138.147 dipendenti pubblici, tra cui 7.317 docenti delle scuole superiori e 4.317 magistrati. 102.247 persone sono state arrestate, 50.987 accusati sono stati messi in carcerazione preventiva, contro circa 170.000 sono stati avviati procedimenti penali. 2.099 università, scuole e case dello studente sono state chiuse, 149 imprese del settore mediatico sono state espropriate o chiuse, 909 aziende sono state messe in amministrazione forzata. A livello complessivo sono stati confiscati da parte del governo impianti per un valore di oltre 35 miliardi di Euro. Non sono interessati solo presunti seguaci di Gülen, ma anche oppositori di sinistra, laici, curdi e sindacalisti.

Nelle condizioni determinate dallo stato di emergenza, ad aprile Erdogan ha fatto svolgere un referendum sull’introduzione di un sistema presidenziale grazie al quale ha ottenuto poteri quasi dittatoriali. Ma ad appena un anno dal golpe si fa rivedere l‘opposizione. Così domenica scorsa milioni di persone sono scese in piazza a Istanbul per la »giustizia«.

 

 

di Nick Brauns

Junge Welt

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