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Ricerca archeologica in Turchia: Guerra e razzismo

Stamanttina (ieri ndr) nel plesso UniFi di via San Gallo si è tenuto un incontro su “La ricerca archeologica in Grecia, Turchia, Armenia e Giordania” con alcuni docenti di diverse università italiane e alcuni esponenti degli atenei turchi.

Di seguito un estratto del testo che abbiamo volantinato:

Curioso che un’università, come quella fiorentina, che ha preso pubblicamente posizione contro la guerra che nelle ultime settimane sta devastando il Rojava, dialoghi di ricerca archeologica con chi, la Turchia, considera i siti archeologici non-turchi veri e propri obiettivi bellici da radere al suolo.

Solo a gennaio 2018 l’esercito turco, bombardando il cantone di Afrin in Kurdistan siriano, ha distrutto completamente un tempio risalente all’età del ferro. Anche la costruzione della diga di Ilisu per volere del governo turco sommergerà letteralmente i 12mila anni di storia dei villaggi presenti sul Tigri e ha visto persino molti finanziatori internazionali ritirarsi per questo motivo.

Nella recente invasione sono stati già depredati 16mila reperti; evidentemente la ricerca archeologica in Turchia deve essere funzionale al regime di Erdogan e alla costruzione tutta artificiale di un mito turco in un territorio che, da secoli, ospita etnie diverse, le quali proprio nella confederazione del Rojava hanno trovato modo di sperimentare una convivenza pacifica basata su valori quali rispetto reciproco, femminismo, ecologismo.

Dall’altra parte la propaganda turca dipinge i kurdi come terroristi che, sotto le bombe, in piena guerra all’ISIS e con un’intera regione in autogoverno, si presentano armati di ruspe e bombardieri, che nemmeno possiedono, a distruggere i monumenti della propria storia.

Una narrazione curiosa, che però viene condivisa molto a livello internazionale e che in questo caso la stessa UniFi legittima con questi incontri.

Vogliamo ricordare che anche i progetti di ricerca internazionali sul suolo turco devono essere supervisionati da ricercatori turchi, sia mai che la storia delle regioni anatoliche venga fuori per intero, sul modello dello stato israeliano, che ha persino istituito una commissione governativa atta a valutare i risultati di ogni progetto di ricerca sul proprio territorio.

È inutile che UniFi, che peraltro ha come banca Unicredit, fra i principali motori dell’economia turca, prenda simbolicamente posizione contro la guerra quando questi vergognosi incontri non fanno altro che legittimare le pratiche turche di distruzione del patrimonio artistico e del suo uso tutto strumentale!

In Turchia come in Israele: controllo e censura, la loro ricerca archeologica è distruzione, razzismo e guerra!

BASTA censura sui crimini turchi! Che se ne parli nelle nostre università!

BASTA alla legittimazione della guerra in Siria, anche per mezzo dell’ipocrisia di UniFi!

BASTA alle narrazioni distorte, che invertono i ruoli e dipingono i Kurdi come terroristi, terrorista è lo stato turco, fuori il PKK dalle liste antiterrorismo!

BASTA alla repressione, dei ricercatori turchi che non ci stanno e non accettano di essere complici nella distruzione di opere d’arte, di secoli di storia e di migliaia di vite e per questo in prigione assieme a tanti e tante prigionieri politici, fra cui il leader del PKK Abdullah Očalan, nelle carceri turche.

LIBERTÀ per i prigionieri politici, libertà per Očalan!

 

Krisis- Collettivo di studi umanistici e della formazione

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