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Storie

La sfortuna di essere curdo in Turchia

Şirin sorride in questa foto. Posa come migliaia di altri coetanei. Tiene il telefono in una mano e fa il segno della pace con l’altra. É un bel ragazzo. Ciò che sorprende di più è il suo sorriso.

Şirin Tosun aveva 19 anni. Questa foto deve essere stata scattata qualche mese prima della sua morte. Lavorava come steward per una compagnia di trasporti a Diyarbakir (Amed) nel sud-est della Turchia. Per aiutare la sua famiglia ha viaggiato lungo il nord-est della Siria lavorando come stagionale nella raccolta di nocciole. Un giorno pioveva, così fece una pausa per andare in città con degli amici. Mentre stavano rientrando la sera, un bus con la targa turca si avvicinò. Il bus si fermò mentre loro parlavano in curdo tra loro. Un gruppo di sei persone li aveva sentiti parlare in curdo e dopo aver insultato e minacciato i ragazzi iniziarono a lanciare delle bottiglie. Uno di loro sparò un colpo e Şirin fu ferito alla testa. Dopo il ricovero, è rimasto in terapia intensiva 50 giorni prima del decesso il 12 ottobre scorso. Un ragazzo di 19 anni con un bellissimo sorriso, Şirin è stato ucciso con un colpo alla testa per aver parlato la sua lingua.

Un altro curdo, Emrel Yasli, 74 anni, è stato ugualmente aggredito per aver commesso il “passo falso” di parlare curdo in Turchia la scorsa settimana. Era in ospedale per assistere sua moglie di 71 anni che aveva appena subito un’operazione agli occhi. Quando un altro visitatore li ha sentiti parlare in curdo, ed esclamando: “Questa è la repubblica di Turchia”  ha colpito l’uomo anziano con una bottiglia di soda alla testa. Nessuno dei presenti ha reagito all’assalitore di 22 anni. Malgrado la denuncia e l’enorme taglio sulla testa di Yasli, il caso è stato archiviato così: “non sono state trovate prove tangibili per sostenere delle rivendicazioni intangibili”.

Lo stesso Stato che ha invaso la mia abitazione con maschere e kalashnikov per dei tweet che ho pubblicato per chiedere la pace ha deciso che la ferita sulla testa di Yasli fosse intangibile. Questa è la repubblica di Turchia, dopotutto!

Noi curdi comprendiamo bene il significato di “Questa è la Turchia”. Nel corso dell’estate del 1996, ero seduta nei posti anteriori di un bus diretto da Ankara a Diyarbakir che fu attaccato e quasi incendiato. Gli abitanti di Diyarbakir si ricordano molto bene questo avvenimento. Quando il nostro autobus fece l’incidente pensammo che qualcuno sarebbe intervenuto per soccorrere le vittime, tra cui persone in stato di shock ed alcune che avevano perso la vita. Poi capimmo che le voci che sentivamo arrivare venivano per lanciarci pietre addosso e per darci fuoco. Dopo essere sopravvissuta ricordo di aver pianto, coperta da vetri, di aver sentito la gente che pensavo fosse li per aiutarmi chiedere: “Li bruciamo?”

Con l’aiuto di qualche parlamentare di Ankara, il nostro autobus fu trasportato in una stazione di polizia e dei militari sorvegliarono 50 curdi, compresi bambini e donne incinta, per evitare che fossimo incendiati. Siamo stati rilasciati solo due giorni dopo, Le voci delle persone che volevano bruciarci che dicono “Questa è la Turchia” continuano a risuonare nella mia testa ancora oggi.

Sentiamo il mantra “Questa è la Turchia” agli eventi sportivi, quando viaggiamo nell’est della Turchia per lavoro o vacanze, quando andiamo sulle spiagge del sud con le nostre targhe immatricolate a Diyarbakir… lo sentiamo sempre.

In questi giorni le persone discutono molto delle parole della scrittrice turca Asli Erdoğan, che avrebbe detto: “Ai turchi viene insegnato ad odiare i Curdi”.

Le persone l’hanno attaccata sia dalla destra che  dalla sinistra, con lo stesso sentimento di “Questa è la Turchia”. Si è scoperto poi che la scrittrice non aveva mai fatto queste dichiarazioni. Ma il fatto che non le abbia mai fatte non ne diminuisce la verità. Non fa diminuire la sofferenza alla quale le persone sono sottoposte da 100 anni per colpa delle loro identità, religioni, credenze ed etnie. Ciò non cambia il fatto che l’aggettivo “armeno” sia utilizzato come un insulto, che le morti curde siano accettate…

Non so da cosa nasce il risentimento turco né come hanno appreso tale odio nei confronti dei curdi, dovrebbero riflettere da soli e trovare una risposta dentro se stessi.

Ma non sono solamente i turchi il problema. Ci hanno anche insegnato ad odiare noi stessi, noi curdi. Ci hanno insegnato ad odiare le nostre madri, i nostri padri, la nostra lingua e la nostra cultura. Ci hanno fatto sentire come se potessimo esistere solo alla condizione di dedicare la nostra esistenza alla turchità. I giovani curdi sono cresciuti in questo paese tra sofferenza e collera, ma probabilmente il mondo guardava da un’altra parte.

Si, “questa è la Turchia”. Ma i turchi vogliono continuare a vivere così? Siete contenti? Volete continuare ad odiare i vostri vicini, colleghi, compagni di scuola, parrucchieri, medici, insegnanti e operai, semplicemente perché rifiutano di abbandonare la loro identità? La morte di Şirin ha reso il paese migliore? O l’assassinio del giornalista armeno Hrant Dink nel 2007, accusato di “insulto alla turchità”? È il futuro che auspicate per i vostri figli? La sorte dei nostri giovani è destinata a ripetersi come lo scorso secolo, dove eravamo costretti ad uccidere o essere uccisi?

Non capite che state degradando l’identità turca invece di elevarla? Sì, è la Turchia, e credo si possa avere una Turchia dove non sono costretta a rinunciare alla mia identità curda. Ma molti insistono con perseveranza affinché questo pensiero si allontani da me.

di Nurcan Baysal

Fonte: AHVAL

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