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Nurcan Baysal, la storia della giornalista curda perseguitata in Turchia

Occhi grandi e bruni incorniciati dallo sguardo di una combattente, quello di Nurcan Baysal. Giornalista curda di stanza a Diyarbakir, nel Kurdistan turco, che da anni lotta in prima linea per la difesa dei diritti umani, denunciando le persecuzioni e le operazioni di pulizia etnica della popolazione curda praticate dal governo di Erdoğan.

Nurcan nasce nel 1975 nel sudest della Turchia, in una famiglia numerosa, crescendo tra sette sorelle e tre fratelli. Si trasferisce ad Ankara per gli studi universitari e continua a lavorare nella capitale come ricercatrice in studi politici. Contrariamente alle aspettative del padre decide coraggiosamente di non emigrare, scegliendo la sua città natale per “lavorare sul campo, stare vicina alla gente e contribuire a un cambiamento”. Dopo il suo rientro Baysal non si è più spostata dalla regione – impegnata per anni in progetti e lavori sociali per lo sviluppo sostenibile e la tutela dei diritti umani tra la provincia di Diyarbakir e Tatvan – fino al recente trasferimento a Londra, costretta dalle persecuzioni del governo Erdoğan.

Nel gennaio 2018, a causa della sua attività di denuncia sui social media, Nurcan Baysal è accusata di “propaganda a favore dei terroristi” e arrestata per aver condannato l’incursione dell’esercito turco nella città curda di Afrin. I tweet, che hanno poi condotto venti uomini delle forze armate a trascinare l’attivista in carcere in un’incursione notturna, denunciavano l’operazione militare, ribattezzata “Ramo d’ulivo”, che il governo di Ankara ha lanciato il 20 gennaio 2018 in appoggio ai “ribelli” siriani di stanza in Turchia, per “ripulire” la città di Afrin (Kurdistan siriano) dai “terroristi”. Laddove per terroristi non si intendono solo i jihadisti dell’Isis, ma anche le forze dell’Ypg (Unità di protezione del popolo), appartenenti al Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) nonché acerrimi nemici del presidente Recep Tayyip Erdoğan. «Quello che portano i carri armati non sono “rami di ulivo”, sono bombe. Quando cadono, le persone muoiono. Ahmet sta morendo, Hasan sta morendo, Rodi sta morendo, Mizgin sta morendo… Le vite stanno finendo», recitava uno dei suoi tweet.

Dopo solo un mese dall’arresto, nel febbraio 2018, è giudicata dalle autorità turche colpevole di aver umiliato le forze di sicurezza di Ankara, per un articolo scritto nel 2016 e condannata a dieci mesi di carcere. L’articolo oggetto del procedimento di condanna criticava, in particolare, l’operazione militare turca a Cizre in cui l’esercito aveva accerchiato la città curda, chiudendo tutte le vie di fuga, e imposto un coprifuoco di otto giorni. La popolazione era stata costretta ad accessi limitati all’acqua e al cibo e molti dei feriti non potevano ricevere cure mediche. In quell’occasione a pronunciarsi in termini critici era stato anche il Consiglio d’Europa, preoccupato per «l’uso sproporzionato della forza da parte dei militari contro i civili».

Le parole di Nurcan parlano di distruzione, stupri e soprusi, di crimini di guerra, della violazione dei diritti fondamentali, di repressione e della forte limitazione della libertà d’espressione e di stampa.

Il 18 maggio 2018, l’instancabile e coraggioso lavoro di Nurcan Baysal viene premiato dal riconoscimento globale del Front Line Defenders Award for Human Rights Defenders at Risk, assegnato dall’ong irlandese Front Line Defenders a cinque attivisti, uno per ciascuna regione del mondo. La sua storia non solo dimostra quanto possa essere rischioso essere donne, curde e attiviste per i diritti umani nella Turchia del governo Erdoğan, ma attraversa, allo stesso tempo, alcuni tra i più profondi stereotipi della società turca, marcatamente segnata dal patriarcato, fortemente politicizzata e francamente schierata contro la minoranza curda. L’impegno a difendere la libertà d’espressione e denunciare le violazioni dei diritti umani è premiato, ancora oggi, dalla Turchia del governo Erdoğan con minacce di morte, messaggi offensivi da parte di individui e gruppi filo-governativi e sentenze di condanna.

Secondo gli ultimi rapporti pubblicati da Report without borders e Amnesty International sono state intentate migliaia di azioni penali, anche ai sensi di leggi che vietano la diffamazione e per accuse inventate legate al terrorismo, contro persone che avevano soltanto esercitato in modo pacifico il diritto alla libertà d’espressione. Sono stati abitualmente imposti periodi di custodia cautelare arbitrari e dalla durata punitiva. Le azioni giudiziarie contro giornalisti e attivisti politici, inoltre, sono continuate e sono vertiginosamente aumentate quelle contro i difensori dei diritti umani.

Sfortunatamente lo scorso 19 ottobre, 30 ufficiali armati hanno nuovamente fatto irruzione nella casa di Nurcan Baysal a Diyarbakir con un mandato d’arresto. L’attivista al momento è ospitata da Pen International a Londra e vi rimarrà fino a dicembre per completare i suoi lavori per il giornale indipendente non-governativo Ahvalnews.com. Nella notte del 19 ottobre, terrorizzata, Nurcan si è rivolta alle colleghe del Forum of Mediterranean women journalists: “ […] Coloro che chiedono pace e diritti umani sono messi a tacere e brutalmente oppressi in Turchia. Io sono solo una di loro. Migliaia di altri attivisti sono attualmente in prigione. Abbiamo bisogno della vostra voce e della vostra solidarietà”.

In tutte le foto in cui è ritratta Nurcan mostra lo sguardo fiero ed il sorriso generoso di chi, malgrado le ferite, non è destinato a fermarsi. Come essa stessa ha più volte affermato: “Non c’è tempo per il lutto, bisogna continuare con la lotta”.

Di Simona Rizza – Eco Internazionale

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