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Cultura

Lo Stato faceva cagare fin da piccolo

„Le origini della civiltà“ di James C. Scott ricostruisce l’origine dei primi Stati della storia dell’umanitàA noi tutti sembra del tutto naturale vivere in uno Stato. Alla nascita ci viene rilasciato un certificato che d’ora in avanti ci riconosce come cittadin* e noi da allora in poi sappiamo esserne grati al potente Leviatano, concedendogli di fare le regole per la nostra società che attraverso il monopolio della violenza mette in sicurezza contro la nostra potenziale riottosità. Lì dove lo Stato „funziona“, interferisce in tutti gli ambiti della vita: progetta piani di studio in base ai quali i sudditi vengono educati; stabilisce il quadro giuridico; quale proprietà va protetta in quale modo; e quando lo ritiene utile, ci chiama alle armi contro altri Stati.

Che lo Stato esista e che noi viviamo al suo interno, la maggior parte delle volte – se non ci lasciamo confondere da idee comuniste o anarchiche – ci appare del tutto normale. Infatti già a scuola si impara quanto sia importante lo Stato e che senza di tutto ricadrebbe nel caos, in una condizione naturale incontrollabile, sul genere Mad-Max, o anche in qualcosa di peggiore. Lo Stato è il nostro salvatore.

Ma è davvero così?

No. Per tenerlo sempre presente, vale la pena uno sguardo agli inizi della storia dell’umanità, a quel tempo nel quale sono saliti sul palcoscenico i primi Stati, le prime città-Stato. E chi vuole spararsi questa storia allo stato attuale della scienza, scritta in modo leggibile e avvincente, dovrebbe recuperare la monografia dell’antropologo e docente di scienze politiche James C. Scott: „La origini della civiltà. Una controstoria“. [NdT: questo articolo è una recensione della recente edizione in Germania, in Italia il libro è stato pubblicato nel 2018.]

Scott nel 2011 doveva tenere due Tanner-Lectures a Havard. Non aveva molto tempo per la preparazione e si decise a attualizzare due relazioni più vecchie sulla storia della domesticazione e la struttura agraria dei primi Stati, perché lo riteneva una cosa fattibile e non troppo complicata. „Non immaginavo che sorpresa mi stava aspettando!“, confessa all’inizio del suo libro.

Quando Scott iniziò a visionare lo stato della ricerca sull’argomento, si accorse che molti dei pareri correnti – anche nella comunità degli intellettuali – sulla nascita delle prima città-Stato in Mesopotamia non sono adeguati allo stato attuale delle conoscenza: la domesticazione di animali e piante non portava immediatamente alla sedentarietà; l’agricoltura legata ai campi non era in generale e sempre più produttiva o perfino più piacevole delle forme precedenti, più diversificate di produzione e riproduzione per esempio dei popoli nomadi – al contrario; e: „Lo stato e le antiche civiltà spesso erano considerati poli capaci di attrarre le persone per il lusso, la cultura e le opportunità che offrivano ma, in effetti, i primi stati erano costretti a cattura-re e trattenere gran parte della popolazione con la schiavitú“, è il bilancio che ne trae Scott.

Scott porta i lettori attraverso la fertile piana alluvionale tra Eufrate e Tigri, con occasionali digressioni nell’antico Egitto o nelle dinastie cinesi Qin e Han, per sostenere la tesi che la creazione dello Stato non era una questione totalmente „naturale“, ma è stata compiuta attraverso atti di violenza.

Per una gran parte della popolazione inizialmente non ha significato un miglioramento della qualità della vita. La coltivazione dei cereali favorita dagli Stati era perfettamente adatta alla tassazione (i cereali sono porzionabili, facilmente quantificabili, possono essere immagazzinati), ma porta ai produttori un di più di fatica e rischio. Le epidemie nei centri statali densamente popolati si diffondevano molto più facilmente che nelle piccole comunità. Le mura che circondavano molti dei primi Stati non erano fatte solo per la protezione dagli intrusi – dovevano anche impedire ai sudditti di svignarsela.

Inoltre lo Stato non è l’autore della sedentarietà, dell’agricoltura, dell’irrigazione comune e quant’altro. „Tutte queste conquiste umane del neolitico esistevano da tempo, prima di incontrare in Mesopotamia qualcosa di simile a uno Stato“, scrive Scott. „È piuttosto proprio il contrario. Secondo la nostra conoscenza attuale lo Stato embrionale nasce dallo sfruttamento del modulo cereali-forza lavoro nel tardo neolitico come base del controllo e dell’appropriazione.“

Ciò che però lo Stato introduce di nuovo, è al servizio delle classi che lo dominano per indurre le classi da lui dominate a produrre di più di quanto consumano per dominanti per prendersi questo surplus: „Una gran parte della prima arte dello Stato era votata a raccogliere persone, insediarle nei pressi del centro, tenerle lì e far loro produrre un eccedenza rispetto al loro bisogni“, così Scott. Questo a sua volta però non funziona da sé, perché si mostra che „una comunità contadina – premesso che abbia abbastanza per coprire i propri bisogni fondamentali – non produrrà automaticamente un’eccedenza di cui le élite possono appropriarsi, ma deve essere costretta a produrla.“

„Le origini della civiltà“ di Scotto – per altro sotto molti aspetti vicino alle tesi del capo della guerriglia curda Abdullah Öcalan [NdT il riferimento è al primo volume degli scritti dal carcere intitolato “I figli di Gilgamesh”] – è impostato dal punto di vista tematico in modo molto più ampio di quanto si possa rendere in una breve recensione: si impara qualcosa sulla domesticazione di animali – e quello delle persone; sull’agrogeografia e l’irrigazione, su diverse forme di schiavitù; e sui „barbari“, i „selvaggi“, gli attori non-statali della protostoria.

Alla fine del variegato panorama resta l’infallibile impressione che la storia dello Stato già al suo inizio non è una storia della salvezza. E questo già un bel po’ di contenuto sovversivo per un libro che tratta di cose che risalgono a 6000 anni fa.

di Peter Schaber

da: Lower Class Magazine

https://lowerclassmag.com/2019/09/26/der-staat-war-als-kind-schon-scheisse/

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