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Donne

Se sei donna, non esisti, Zozan Yasar, una giornalista curda esiliata.

Zozan Yasar è una giornalista curda della Turchia. Privata di accesso all’istruzione. Zozan ha imparato a leggere e a scrivere ed è andata all’università, ottenendo un diploma prima di iniziare la sua carriera giornalistica. In quanto curda , ha lottato affinché potesse registrare il suo nome curdo presso il governo turco.

Dopo essere stata arrestata e molestata é infine stata obbligata a chiedere asilo al Regno Unito. “Mi ricordo del giorno in cui ho domandato asilo al Regno Unito. Al posto di un nuovo inizio. Ho avuto l’impressione di subire la fine di tutto. Nessuno, ho pensato, saprà mai cosa lascio dietro me. Nessuno qui può comprendere cosa si provi a perdere qualsiasi briciolo di forza. Il sentimento che tutte le battaglie affrontate nella mia vita sarebbero ricominciate.”

Qualche anno più tardi, il sorriso di Zozan brilla come il giallo della sua felpa. La sua domanda d’asilo è stata accordata rapidamente dalle autorità britanniche. Ora, la giornalista è occupata e determinata a costruire la sua nuova vita nel Regno Unito, anche se la tristezza per ciò che ha lasciato dietro di sé non è mai lontana.

“Non sono abituata ad essere intervistata”, confessa Zozan timidamente. La timidezza è tuttavia nascosta da una scintillante energia. Ogni tanto, i grandi occhi di Zozan sono colmi d’emozione, ma le lacrime non cadono mai. Anche gli episodi più difficili, lei li racconta con determinazione e col sorriso.

Con la sua eloquenza, è difficile immaginare un periodo in cui Zozan ha imparato da sé a leggere e a scrivere, perché in quanto curda cresciuta in Turchia, le è stato negato l’accesso all’istruzione. Per numerose tensioni politiche, molte scuole della sua regione furono chiuse mentre lei cresceva. Lei non ha solamente imparato a leggere e a scrivere autonomamente, si è inoltre iscritta nella prestigiosa università di Istanbul e ha ottenuto la sua laurea con un’ottima votazione.

“Non c’è una sola ragione che mi ha portato qui, bensì più di un fattore”, spiega Zozan. “Sono nata in Kurdistan nel 1990. All’epoca c’era un conflitto tra le forze curde, il PKK, e il governo turco. Il Kurdistan è una regione che lo stato turco non riconosce. Sono nata in un villaggio nei pressi della città di Diyarbakir (Amed in curdo). Il villaggio in cui sono nata è stato distrutto dal governo turco insieme ad altri 3000 realtà circa. La mia famiglia è stata costretta a partire.”

SE SEI DONNA, NON ESISTI

È stato uno dei peggiori momenti per nascere, pensa Zozan. “Se sei curdo, non è affatto facile. Non c’erano scuole né educazione né diritti, il nulla. Le tensioni erano molto forti e la quotidianità in stasi per la maggior parte del tempo,non c’era alcun collegamento tra città e villaggi. Non ho avuto la fortuna di andare a scuola.” Le cose sono peggiori se in più, sei una donna in questa società, spiega Zozan.

“La guerra e la gerarchia hanno un notevole impatto nella vita in Medio-Oriente.” Dice lei alzando le spalle, seguito da un accenno provocatore del mento. Zozan conosce molto bene la situazione negli ambiti in cui le veniva chiesto di fare rapporto, non per questo accetta passivamente la situazione. “Le donne dei paesi del Medio-Oriente hanno delle difficoltà a esistere. Se nasci femmina, non esisti. Per me è stato veramente difficile battermi nei confronti di due cose differenti, le autorità e la gerarchia: per far loro presente che le donne, come gli uomini, esistono.”

“Sono stata costretta a lottare molto” dice lei semplicemente alzando il mento ancora una volta. Zozan si è battuta per frequentare la scuola quando le sue sorelle semplicemente non ci riuscivano. Ha insistito per iscriversi a scuola ma si è scontrata con la doppia barriera del conflitto e della gerarchia. Quando aveva 15 anni, l’ha almeno aggirata con l’iscrizione a un corso a distanza.

TRASFERIRSI IN CITTÀ

Quando Zozan aveva 17 anni, si è trasferita nel centro della città di Diyarbakir. È in questo momento che ha iniziato a lavorare con organizzazioni di donne e le sue battaglie sono divenute ancor più intense. “Ci sono stati molti casi oggetto del mio interesse”, spiega, ” come le donne sono confrontate alla violenza e alle persecuzioni e alle cose orribili. Tutto ciò mi ha incoraggiato ad intraprendere una battaglia nei confronti di queste cose.” Zozan ha ricevuto ancor più ispirazione vedendo le continue restrizioni imposte alle vite delle sue compagne.

“Non erano autorizzate a fare alcunché. Io ancora domando a mia madre: Cosa ami? Vorresti viaggiare e mangiare ciò che vuoi o portare dei vestiti che ti piacciono veramente?

Chiaramente, non ottengo risposte”, dice Zozan ma tutto ciò l’ha resa ancor più sicura di voler intraprendere una vita nella quale avesse delle cose da fare.

ATTIVISMO

Zozan è cresciuta parlando curdo a casa, ma questa lingua è stata interdetta dalle istituzioni pubbliche turche. Non c’erano molte televisioni nel villaggio dove è cresciuta, ma lei è riuscita ad imparare il turco ascoltando le notizie e leggendo tutto quello che riusciva a trovare. A 18 anni, ha iniziato a insegnare in kurdo, attività interdetta e passibile di arresto.

“Delle persone sono state uccise davanti ai miei occhi, quando ero bambina”, Zozan ricorda, parlando degli insegnanti che hanno disobbedito il divieto di insegnare in curdo. “Non fu un’infanzia felice”, conclude.

Zozan ha poi iniziato a fare campagna per i diritti dei curdi in Turchia. “Non facevo che difendere i diritti degli uomini e delle donne, la lingua curda e la mia identità”, dice semplicemente. Identità che riguarda anche il suo nome, interdetto in Turchia. Nel momento in cui le hanno concesso finalmente la carta d’identità, dopo 15 anni senza, Zozan fu costernata nel vedere come le avevano “storpiato” il nome per renderlo più turco. “A 20 anni sono andata in tribunale per riappropriarmi del mio nome”.

Possedere legalmente il proprio nome era vitale per lei. “In breve, si hanno numerose identità in Medio-Oriente, si è la sorella o la figlia di qualcuno e di una donna”, dice Zozan. Infine, nel momento in cui si è vista espropriare del proprio nome e l’identità curda, ha pensato di averne abbastanza. La corte mi ha chiesto il perché volessi cambiare il mio nome e la risposta fu semplice: “Non voglio cambiare il mio nome, voglio recuperarlo. Sono nata con questo nome e la mia famiglia mi ha chiamato in kurdo.”

INIZIO DEGLI STUDI UNIVERSITARI

All’inizio dei venti, Zozan lavorava molto per permettersi l’università. “Non è facile frequentare l’università in Turchia”, spiega.

Un mese prima di essere ammessa, Zozan fu arrestata. Alla sua liberazione, “il mio stato psicologico era pessimo. Avevo bisogno di sostegno”, ammette.

Tuttavia ha guadagnato il diritto di accesso all’università di Istanbul. “Non potevo crederci, pensavo fosse qualcosa di magico!” Zozan ha studiato Scienze politiche e relazioni internazionali. All’inizio avrebbe voluto studiare Diritto, ma ha visto talmente tante ingiustizie che non voleva immaginarsi parte del sistema. “Volevo fare qualcosa per chi è senza voce e cambiare le cose. Ho deciso quindi di diventare giornalista. (…) Era la dimensione migliore in cui esprimermi scrivendo la situazione per me, ma era difficile. Scrivevo ogni giorno su gente arrestata, torturata e picchiata davanti ai miei occhi.”

La tortura, dice Zozan, l’ha vissuta anche lei, giusto per ribadire. “È veramente difficile parlarne… ” afferma dolcemente. “Sento ancora i suoi effetti nella mia quotidianità. “

Come una vera giornalista, Zozan decide di tenersi ai fatti nel loro insieme,  piuttosto che concentrarsi sulla sua vicenda personale. C’è una pausa e Zozan respira profondamente. “Fu un vero trauma, il governo turco all’arresto di donne, crede di avere ogni diritto su di loro: stupro, abuso sessuale, tortura, abuso fisico, abuso psicologico. Anche dopo la liberazione, non significa che si è al sicuro.”

DEVI IMPARARE A COMBATTERE QUESTE COSE

Zozan sa che vivrà con questi ricordi per sempre. “Si deve imparare a lottare contro queste cose e a conviverci”, conclude Zozan guardandosi i piedi, poi rialzando il mento in maniera quasi impercettibile. “La ragione per cui ho lasciato la mia città per andare all’università non riguardava solo la necessità di partire, ma anche per allontanarmi da questo clima. Nella mia città rientravo a casa col bus e la polizia guidava accanto a me, mi mostrava le sue armi, mi minacciava. L’intimidazione era quotidiana”, sospira Zozan tremando. “Non era affatto bello”, dice forzando un sospiro.

A Istanbul le minacce continuarono. Nella seconda settimana, lei dice che un gruppo di poliziotti in abiti civili l’ha fermata e le ha chiesto di vedere la sua carta d’identità”. Mostrandole la sua carta studente le hanno detto: ” Oh, studi la politica, credi che ti lasceremo prendere la laurea?” La risposta di Zozan fu di restare più discreta possibile, di lavorare duro e essere promossa agli esami. “Occorre molta fortuna per essere al sicuro”, conclude.

DOPO IL MANCATO COLPO DI STATO

“Psicologicamente, era difficile”, confida Zozan. Partita un periodo per fare una pausa, al suo ritorno sembrava che le cose andassero meglio. In seguito, dopo il tentativo di colpo di stato nel 2016, “tutto si è reso ancor più complesso. Il governo turco ha criminalizzato chiunque in Turchia e le persone hanno smesso di fidarsi e hanno iniziato a detestarsi.”

“Immaginate un paese”, dice Zozan, che si fa forza della situazione dove “deputati e giornalisti sono in prigione. Migliaia di persone perdono il loro lavoro.”

Zozan lavorava per ” Voice of America” e i media curdi. Amava il suo lavoro e non avrebbe voluto partire. Tuttavia, lo stress ha degenerato un problema cardiaco preesistente e lei si è sentita in una morsa tra il lavoro pesante, gli sforzi per essere al sicuro e le visite all’ospedale. ” Da giornalista, sono stata testimone di 17 attentati con ordigni. La maggior parte di questi, sono andata e ho coperto il servizio; ho visto dei morti davanti ai miei occhi.”

Ogni giorno diventò un gioco di compromessi per evitare lo scontro con la polizia e allo stesso tempo non essere troppo esplicita sulla questione degli attentati. Alla fine, lo stress ebbe la meglio e Zozan scappò nel Regno-Unito. Per qualche settimana, lei non ha detto niente a nessuno riguardo a dove si trovasse. Poi ha scoperto che, durante la sua assenza, l’appartamento dove viveva fu oggetto di perquisizione e che era stato deliberato un mandato di arresto nei suoi confronti. Lei voleva sapere le motivazioni a suo carico, ma il suo avvocato le disse che non lo avrebbe saputo se non fosse tornata per farsi arrestare.

COSTRUIRE UN NUOVO AVVENIRE

“Non volevo arrischiarmi ulteriormente e perciò ho domandato asilo politico”, dice Zozan. Non si aspettava di diventare una richiedente asilo. Apprendere l’inglese è diventata la sua ultima sfida. “Passo la maggior parte del tempo in biblioteca. Dopo la biblioteca mi alleno incontrando gente, tutto per imparare l’inglese. Amo lavorare e vorrei farlo anche qui.”

Aspettando di avere il diritto al lavoro, Zozan è volontaria per delle opere caritative e nelle librerie. “La sfida era di tramutare la mia esperienza in un elemento positivo”, dice Zozan, poi ammette immediatamente che al suo arrivo, aveva l’impressione che “il giornalismo fosse finito per me”. Essere di madrelingua è molto importante nel giornalismo, sostiene lei. “Avevo l’impressione di essere rinata, in una nuova lingua, in un nuovo paese.” Zozan é abituata a tale sentimento, anche perché, nel paese dov’è nata, ha dovuto farsi una reputazione in una lingua che non era la sua.

Oggi, a 29 anni, Zozan è fiduciosa nell’avvenire. “È difficile essere giornalista qui, ma é più sicuro che in Turchia.” La sua partecipazione al “Refugees journalism project” a Londra ha apportato un grande aiuto. Da quando si è aggiunta ha scritto articoli comparsi sul “The Guardian” e per la BBC.

Ha inoltre allacciato dei contatti nel Regno-Unito per trovare nuove storie e per non essere più l’oggetto dei suoi stessi rapporti. “Qualificarmi da giornalista qui è molto importante per me.” Zozan vuole assicurarsi che le voci dei suoi compatrioti in Medio-Oriente siano ascoltate dai media britannici, il diritto di raccontare la storia della sua regione è per lei primordiale.

Zozan ha ricevuto offerte da sei differenti università e inizierà gli studi in settembre alla School of Oriental and African Studies (SOAS) in Middle Eastern politics.”Amo studiare e voglio veramente una qualifica in questo paese, così da esser riconosciuta in ciò che ho fatto e faccio tuttora.” Malgrado le sfide, lei è fiduciosa nell’avvenire. “Quando ho domandato asilo, non sapevo che fosse l’inizio di un altro difficile viaggio, un viaggio di costruzione per una vita nuova, una nuova identità a migliaia di chilometri dalla mia origine. Almeno qui ho il diritto al mio vero nome.

Zozan è una dei laureati del Refugees Journalism Project del London College of Communication. Questo articolo fa parte di una serie di uscite che costruisce i profili dei giornalisti rifugiati in Europa.

Di Emma Wallis

Fonte: Info Migrantshttps://www.infomigrants.net/en/post/18725/zozan-yasar-call-me-by-my-name

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