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Rassegna Stampa

Afrin: Crimini di guerra della Turchia ma la Resistenza Curda continua

Sul sito di informazione “Al-Monitor (the pulse of the Middle East)” Amberin Zaman ha raccontato, aggiornandola, la tragedia dei civili curdi nel cantone di Afrin ormai da un anno sotto il tallone di ferro di Ankara. Dai giorni dell’invasione del marzo 2018 (grazie alla Russia che aveva aperto lo spazio aereo per l’aviazione turca) la quotidianità della popolazione autoctona è scandita da stupri, furti, estorsioni e omicidi. Mentre la sostituzione demografica – forzata – prosegue implacabile. A favore dei mercenari islamici qui trasferiti dalle zone da cui l’esercito siriano li aveva scacciati.

La caduta di Afrin ha rappresentato un duro colpo per i curdi siriani. Questa città viene considerata non solo “la più curda” del Rojava, ma anche la più libera, aperta. In particolare per le minoranze religiose (alaviti, yazidi…) ora sottoposte a pulizia etnica. Le tombe dei curdi yazidi vengono regolarmente saccheggiate e profanate mentre agli sfollati viene impedito di rientrare e le loro case vengono occupate da coloni arabi e turcomanni.

Sia le Nazione Unite che Human Rights Wath hanno raccolto precise testimonianze in tal senso.

Le Nazioni Unite non hanno poi esitato nel paragonare tali operazioni della Turchia nei confronti dei civili a “crimini di guerra”.

In un rapporto del 1 marzo si analizzavano invece i primi dieci mesi di Resistenza contro l’occupazione.

Nel rapporto vengono prese in considerazione sia le operazioni condotte dalle Unità di protezione del popolo (YPG), sia la ribellione dei coltivatori di ulivo (il raccolto delle olive viene scippato dai turchi), sia le operazioni del Fronte di liberazione di Afrin. Complessivamente, tra marzo 2028 e gennaio 2019, sono stati rivendicati ben 220 attacchi contro gli occupanti. Altre 25 azioni di resistenza si sono poi registrate in febbraio.

Non dimentichiamo che alle YPG, insieme agli alleati arabi e siriaci delle FDS, spetta il maggior merito per la sconfitta sul campo di Daesh.

Stando sempre a quanto riferiva Al-Monitor, nelle aree occupate le YPG fanno uso di granate durante il giorno, mentre di notte operano con armi leggere tendendo imboscate alle truppe di occupazione turche.

Invece il Fronte di liberazione di Afrin sarebbe passato decisamente all’utilizzo di missili anticarro teleguidati.

Al momento non esistono dati precisi sul numero delle vittime, sia civili curdi che guerriglieri. Quanto ai militari turchi, almeno una decina sono stati uccisi dopo quella che doveva essere la fine dell’offensiva (anche se il governo turco preferisce parlare di “incidenti di sminamento” non meglio precisati).

Sarebbero invece almeno un centinaio i mercenari (gli “ascari” di Ankara) uccisi dalla Resistenza negli ultimi dieci mesi.

E’ probabile che Erdogan non abbia nessuna intenzione di lasciare il Nord della Siria. O almeno non finché potrà godere dell’esplicito appoggio russo (ma in fondo anche di quello – più velato – statunitense). Magari sta pensando di ripetere l’operazione condotta dalla Turchia a Cipro negli anni settanta con la creazione di una Repubblica turca del Nord.

Dovrà tuttavia fare i conti con la Resistenza e non solamente con quella curda. Le FDS hanno già fatto sapere che – una volta concluse le ultime operazioni contro Daesh – concentreranno tutti i loro sforzi nella liberazione di Afrin.

 

di Gianni Sartori

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