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Interviste

Leyla Guven: Se la Turchia vuole risolvere la questione curda, deve mettere fine all’isolamento di Abdullah Öcalan

Sabiha Temizkan intervista sua madre Leyla Güven sulle ragioni del suo sciopero della fame e la sua speranza in una soluzione pacifica della questione curda in Turchia.

Con te è iniziato lo sciopero della fame. Ormai sei diventata una figura simbolo della protesta. Dopo il tuo rilascio dal carcere si è cercato di dare l’impressione che avevi messo fine alla tua protesta. In questo contesto c’è stato un momento di silenzio?

Intendo la mia protesta come una specie di grido in mezzo all’oscurità. Mi sono chiesta chi avrebbe sentito il mio grido. Sarebbe riuscito ottenere ascolto presso le istituzioni e le organizzazioni? La mia voce si sarebbe sentita anche a livello internazionale? Mi sono posta tutte queste domande. Per me non si trattava di mettere in primo piano la mia persona, ma l’isolamento totale di Abdullah Öcalan. La mia intenzione è di mettere fine a questo crimine contro i diritti umani. Quando sono stata rilasciata dal carcere ho capito che il mio grido e la mia protesta erano arrivati all’esterno e lì venivano percepiti. Questo mi ha resa molto felice.

Per sette mesi sei stata deputata dell’HDP in carcerazione turca. Dal punto di vista legale nel frattempo non è cambiato niente. Tu come ha reagito alla tua scarcerazione?

In Turchia si fa di tutto per non far sentire la mia voce e la mia protesta. Uno sciopero della fame in carcere ha una possibilità maggiore di incidere. Per lo Stato turco si tratta di impedire esattamente questo. Forse vogliono anche che concludo il mio sciopero della fame. Naturalmente tutto questo mostra che la giustizia in Turchia non è minimamente indipendente.

Ogni giorno numerose persone si riuniscono davanti a casa tua per manifestare il loro sostegno. La polizia turca ha praticamente bloccato la zona intorno alla tua casa con idranti e veicoli corazzati. Attacca continuamente la gente che protesta. Secondo te perché la polizia lo fa?

La nostra popolazione ha grande rispetto dei rappresentanti eletti, dei dirigenti e dei loro valori. Lo Stato ha molta paura di questo. Teme che la protesta si estenda a parti ampie della popolazione. Per questo durante il mio rilascio praticamente mi hanno ‘rapita’ in sordina dal carcere per non suscitare clamore. Mi sono accorta subito che non volevano farmi vedere a tutte quelle persone che erano arrivate per accogliermi davanti alle porte del carcere. Ora ogni sera la gente viene davanti a casa mia per trasmettermi i suoi saluti e il suo sostegno. La polizia reagisce con l’uso di idranti e veicoli corazzati. Lo Stato turco cerca di suscitare l’impressione che la popolazione curda non si impegna per i suoi valori. Ma questo non è vero. Nonostante il fascismo e la repressione onnipresente in Turchia, la gente si riunisce sotto casa mia e protesta.

Una volta hai detto di essere entrata in sciopero della fame perché in carcere non ti erano rimaste altre possibilità per protestare. Ora sei stata rilasciata dal carcere. Voglio trasmetterti una domanda che mi fanno spesso: ora non sei più in carcere e hai lo status di deputata. Non hai altre opzioni per protestare contro l’isolamento totale di Abullah Öcalan?

Credo nell’efficacia della politica democratica e mi impegno in questo senso da circa 25 anni. La Turchia sotto l’AKP ha sottoposto tutti i livelli di politica democratica ad attacchi complessivi. Dalle amministrazioni cittadine fino ai deputati in Parlamento, sono stati puniti tutti coloro che si sono impegnati per una politica democratica. Noi tutti siamo colpiti dalle conseguenze di questa politica. I nostri deputati HDP hanno perso la loro immunità e sono stati arrestati. I due co-Presidenti dell’HDP sono stati incarcerati con pretesti inconsistenti e senza alcuna base giuridica. Le nostre amministrazioni cittadine sono state messe sotto amministrazione coatta. Tutte le nostre istituzioni che si impegnano per una politica democratica sono state chiuse. Con tutte queste misure doveva esserci inviato un messaggio: non vi permetteremo mai di fare politica sulla base della vostra identità curda. La nostra popolazione ha dato una risposta chiara a questo sia nelle elezioni del 7 giugno e del 1 novembre 2015 sia in quelle del 16 aprile 2017 e del 24 giugno 2018: `Noi non ci piegheremo davanti al vostro potere`. Dato che anche i nostri rappresentanti eletti hanno mantenuto la posizione, sono diventati bersagli dell’AKP. Dietro a tutta questa ingiustizia c’è l’isolamento totale di Abdullah Öcalan. È il problema fondamentale che sta dietro a tutte le cose che ho elencato. E questo anche se Öcalan per molto tempo è stato al tavolo negoziale con rappresentanti dello Stato turco per trovare una soluzione pacifica. Sì, sono entrata in sciopero della fame in carcere e nonostante le mie condizioni di salute critiche, finora non è stato dato seguito alla mia richiesta di rimozione dell’isolamento totale di Abdullah Öcalan. Per questo continuerò la protesta fino alla fine con tutta la determinazione possibile.

Se le tue condizioni di salute te lo permettessero, andresti in Parlamento ad Ankara?

Anche in futuro useremo il Parlamento per trovare una soluzione. Infatti non rifiutiamo questa strada. Ma Amed (Diyarbakir) mi da una forza tutta particolare. Questo ha a che fare con la storia e il presente di questa città. Perché qui nel carcere di Amed in passato è stata opposta resistenza con tutta la determinazione possibile e anche oggi dozzine di donne continuano questa resistenza. A questo si aggiunge che le mie condizioni di salute mi rendono impossibile recarmi ad Ankara. Per questo mi sono ripromessa di continuare il mio sciopero della fame fino alla fine qui, nella mia casa ad Amed.

Mentre tu eri in sciopero della fame in carcere c’è stato un incontro tra Abdullah Öcalan e suo fratello Mehmet Öcalan sull’isola carcere di Imrali. Ma tu insisti sul fatto che Öcalan non può incontrare i suoi avvocati. Perché?

Lo Stato turco ha dato luogo a questo incontro e sperava che io e tutti gli altri in sciopero della fame nelle carceri turche, avremmo messo fine alla nostra protesta. Ma la stessa cosa l’abbiamo già vissuta nel 2016. All’epoca 50 politici e politiche, tra cui anch’io, avevano iniziato uno sciopero della fame per avere notizie da Abdullah Öcalan. Poco prima c’era stato un tentativo di golpe in Turchia e non sapevamo se Öcalan fosse ancora vivo. Nell’ottavo giorno del nostro sciopero della fame venne organizzato un incontro tra Mehmet Öcalan e Abdullah Öcalan. In seguito a questo interrompemmo il nostro sciopero della fame. Ma questa volta abbiamo formulato la nostra richiesta in modo univoco. Tutti i prigionieri e le prigioniere nelle carceri turche hanno il diritto a ricevere visite tre volte al mese, anche da parte degli avvocati. Oltre a Öcalan, sull’isola carcere di Imrali si trovano altri tre prigionieri politici. A tutti loro da anni viene vietato di ricevere visite dai parenti. Noi chiediamo che Öcalan e gli altri tre prigionieri possano godere dei diritti che gli spettano per legge e che possano ricevere visite dagli avvocati e dalle famiglie. Nei media turchi si cerca di distorcere le nostre richieste per dare l’impressione che chiediamo cose diverse. È urgentemente necessario che Öcalan possa far sentire la sua voce perché è una figura chiave per tutto il Medio Oriente. Se la Turchia vuole risolvere la questione curda attraverso un dialogo, deve mettere fine all’isolamento di Abdullah Öcalan. Io spero che i rappresentanti dello Stato turco riconoscano questa necessità e intraprendano molto presto i passi necessari.

L’opinione pubblica ha reagito con grande interesse alla notizia dell’incontro tra Öcalan e suo fratello. L’HDP poco dopo l’incontro ha fatto sapere che nei prossimi giorni sarebbero stati pubblicati dettagli sull’incontro. Poco dopo è stato dichiarato che l’incontro è durato solo molto poco e che si è parlato esclusivamente delle condizioni di salute. Tu sei stata informata sui dettagli del colloquio a Imrali?

Mi è stato riferito che l’incontro è durato 15 minuti e che Öcalan è in buone condizioni di salute. Dopo il mio rilascio, Mehmet Öcalan è venuto a trovarmi e me lo ha confermato nuovamente di persona. Non ritengo in alcun modo che il recente incontro a Imrali sia privo di significato, ma per concludere il mio sciopero della fame questo non basta.

Voglio farti una domanda come tua figlia. Da diverso tempo cerco di trovare una risposta alla seguente domanda: per te come madre è stato difficile prendere la decisione di uno sciopero della fame a oltranza? Cosa hai provato nel prenderla?

In Kurdistan non è facile essere una madre. Lo stesso vale per i figli. Per poter vivere in Kurdistan come essere umano, bisogna fare dei sacrifici. Abbiamo dovuto subire molto dolore. Dopo il golpe militare del 12 settembre 1980, le madri sono state malmenate per ore davanti alle porte delle carceri, solo perché volevano vedere i loro figli per cinque minuti. Ricordiamoci del figlio di Taybet Ana. A sua madre hanno sparato davanti ai suoi occhi. Ma per via del fuoco continuo da parte dell’esercito turco, nessuno ha potuto recuperare il cadavere della madre ed è rimasto in strada per una settimana. Il cadavere della donna curda Ekin Wan è stato vilipeso da soldati turchi. Anche lei aveva una madre, un padre e dei fratelli. Io conosco la madre di Cemile Çağırga. A Cemile i soldati turchi hanno sparato nella città di Cizre, e per via del coprifuoco hanno dovuto conservarla per una settimana nel congelatore. Noi siamo i figli di un popolo che ha vissuto tutto questo dolore. Quando ho deciso di entrare in sciopero della fame, ero consapevole che non sarebbe stato semplice. Io stessa ho figli e perfino nipoti. Ma solo quando tutti i bambini in Kurdistan vivranno in libertà, anch’io sarò libera. Con questa consapevolezza ho iniziato a lottare. Vedat Aydın, Mehmet Sincar, Savaş Buldan, Muhsin Melik – tutti loro erano sposati e avevano figli. I loro figli sono dovuti crescere senza di loro perché sono stati assassinati. Per questo sono certa che la mia famiglia, i miei figli, mi possono capire. Durante i 25 anni nei quali ho lottato, ho avuto il sostegno maggiore dalla mia famiglia. Per me è stato un grande dolore dover seguire da lontano in carcere, sia la morte di mio padre sia quella di mia madre. Non ho potuto congedarmi veramente da nessuno dei due. Sia io sia la mia famiglia a volte abbiamo faticato molto. Ma dall’inizio del mio sciopero della fame la mia famiglia mi ha sostenuta attivamente. Tutti i componenti della mia famiglia hanno sostenuto la mia protesta come potevano. Come mia figlia tu devi sostenere il peso maggiore. Sei cresciuta insieme a me. Tra noi ci sono 17 anni di differenza. Non ho mai dubitato che tu trasmetterai i miei sentimenti al mondo esterno nel modo giusto. Se si arriverà alla pace, allora deve essere una pace complessiva. Se pensassi solo ai miei figli, me ne starei a casa in tutta tranquillità.

Durante tutta la tua resistenza, la tua identità di donna è stata sempre in primo piano. Tu non l’hai mai lasciata andare in secondo piano neanche come sindaca o deputata. Chi pensa a Leyla Güven, pensa subito a una donna forte. Come fai a essere una donna così forte?

Da dove si prende la propria forza? Non è semplice essere una donna in questo mondo. Che si tratti di Rosa Luxemburg, Clara Zetkin, delle sorelle Mirabel, Sakine Cansiz, Leyla Saylemez, Fidan Dogan o di migliaia di altre donne – per tutte loro non è stato semplice essere una donna. C’è un proverbio indiano che dice: „La freccia è sempre rivolta contro la donna. Così come l’indice degli uomini è sempre rivolto contro una donna.“ I potenti hanno sempre dichiarato la donna il primo obiettivo di attacco. Perché sanno che il risveglio delle donne risveglia l’intera società. Io sono una donna, una madre, una politica. Se riesco a darmi un significato come donna, riuscirò anche a dare un significato alle mie altre identità. Posso dire a nome di Selma Irmak, Aysel Tuğluk, Gültan Kışanak, Sebahat Tuncel, Figen Yüksekdağ e di tutte le altre donne nelle carceri, che sulla base di questa consapevolezza abbiamo reso possibile la nostra esistenza come donne. Noi siamo femministe, curde, turche, laz o circasse – ma tutte noi siamo unite dalla nostra identità come donne. Noi diciamo che serve un nuovo accordo nella società e che questo accordo deve avvenire sotto la guida delle donne.

Mentre molti pensano che tu sia a un passo dalla morte, io oggi ti percepisco come una persona che emana una grande forza e che vuole vivere. Questo mi tocca molto. Come ci riesci?

Naturalmente voglio vivere. Naturalmente voglio che la mia protesta si svolga con successo e che possa festeggiare questo successo insieme alla popolazione. Aspetto con ansia il giorno in cui la questione curda sarà risolta in modo democratico e Öcalan, proprio come Nelson Mandela, potrà ritornare al suo popolo. Tutto questo non è un’utopia. Siamo profondamente convinti del fatto che tutto questo ci riuscirà.

Con quale messaggio vuoi rivolgerti all’opinione pubblica alla fine della nostra intervista?

Non è che in carcere io non fossi triste di fronte al silenzio in Turchia, in particolare di determinate aree. Ma fin dall’inizio ho detto che l’isolamento totale di Abdullah Öcalan non è solo un problema curdo. Tutti coloro che credono questo, sono in errore. Selahattin Demirtaş a questo proposito ha colto bene il punto: noi siamo tutti nella stessa barca. Qualcuno può non esserne ancora consapevole. Io sono convinta del fatto che coloro che oggi ci lasciano soli, domani se ne pentiranno. Questa prova richiede a tutti di prendere una posizione chiara. Questa lotta richiede la collaborazione di tutte le persone e di tutti i popoli.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente il 03.02.2019 con il titolo “‘Herkesin safını belli eden bir sınav’” sul quotidiano Yeni Yaşam Gazetesi.

 

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