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Nell’anniversario del genocidio yazida a Shengal: Rispondere al genocidio con l’organizzazione delle donne

Quasi esattamente un anno fa, eravamo sedute nel campo Serdesht sul monte Shengal con Neam Ilyas, che ha vissuto lì in una tenda con suo marito e i suoi bambini per quattro anni. Quando Stato Islamico ha invaso Shengal, uccidendo e sequestrando migliaia [di persone] e costringendo centinaia di migliaia alla fuga, Neam era solo una madre e una casalinga. Oggi è anche parte del direttivo del Movimento di liberazione delle donne yazide (TAJÊ).

Questo significa che è organizzata — proprio come Leyla. Entrambe le donne indossano la tipica sciarpa viola chiaro delle donne ezide. Un’altra attivista molto motivata stava loro raccontando di un progetto per la produzione di yoghurt a livello locale per creare opportunità di lavoro per le donne. Neam e Leyla, entrambe sulla quarantina, stavano prendendo in giro la loro compagna, controbattendo alle sue argomentazioni senza lasciarsi convincere. L’attivista stava facendo del suo meglio per convincerle e motivarle. Quando i suoi argomenti furono esauriti, Leyla chiese con un tono buffo, “Perché ti stai arrabbiando?” Tutte le donne iniziarono a piangere.

In quel momento mi sono chiesta come fosse possibile per queste donne che hanno subito una tale sofferenza e un tale ingiusto dolore, essere così piene di vita. Ma forse solo chi ha subito il dolore più profondo può sorridere con tutta la propria anima.

Il genocidio di IS a Shengal è stato femminicidio

Fino a 5,000 yazida sono stati giustiziati nel corso del genocidio di IS a Shengal, per la maggior parte uomini. Fosse comuni mostrano che IS ha ucciso anche dozzine di donne anziane che non avrebbero venduto come schiave sessuali. Ma durante la sua campagna a Shengal, IS è riuscito a catturare vive donne e ragazze ezide. IS ha condotto una guerra speciale e sistematica contro le donne in generale e le donne ezide in particolare, una guerra che non era per uccidere fisicamente le donne, ma piuttosto per ridurle in schiavitù e disumanizzarle. Questa è una forma profonda, strisciante di genocidio, che mira a distruggere l’identità, l’interezza e l’integrità dei componenti del gruppo — in questo caso [prendere] le donne ezide come bottino di guerra, riduzione in schiavitù, stupri sistematici e costrizione alla conversione, non solo erano parte di una guerra sistematica contro le donne, ma insieme costituivano femminicidio.

La Convenzione sulla Prevenzione e la Punizione del Crimine di Genocidio (CPPCG) adottata dall’Assemblea Generale dell’ONU nel 1948 definisce il genocidio come “atti commessi con l’intenzione di distruggere, del tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.” Un problema significativo nella sua concezione di genocidio è che la Convenzione è cieca rispetto al genere. Il femminicidio non svolge un ruolo subordinato in un genocidio; al contrario, in molti casi il femminicidio costituisce il meccanismo principale del genocidio. Questo è stato il caso in particolare a Shengal.

Distruggere l’identità yazida attraverso le donne

Nella società e nella culturayazida le donne svolgono un ruolo decisivo nel preservare i tradizionali modi di vivere, credenze, valori, lingua e identità (qui non sto parlando di norme e strutture patriarcali che sono spesso riprodotte in nome della religione o della cultura). Per questo per distruggere la loro comunità e cultura, l’identità deve essere dissolta nella persona della donna — in particolare della donna giovane che rappresenta l’elemento più importante del futuro della società. Sequestrando e portando via le giovani donne da Shengal, staccandole dalla loro comunità e dalla loro terra natia, costringendole a convertirsi all’Islam, impedendo loro di praticare le tradizioni ezide e stuprandole e riducendole in schiavitù, IS mirava (e ancora mira) a distruggere l’identità, l’interezza e l’integrità delle donne ezide nel farlo, di tutta la comunità ezida. In questo senso il 74° “Ferman” (curdo: comando, ordine; usato per dire genocidio) nella storia degli ezidi non mirava solo a ucciderli fisicamente, ma a togliere loro il futuro. Attraverso la distruzione sistematica dei corpi e dell’anima delle ragazze e donne ezide, l’esistenza culturale, sociale e fisica dell’intera comunità era (e ancora è) sotto minaccia.

Prevenire il genocidio attraverso l’auto-organizzazione

Come possono le donne rispondere e lottare contro una simile minaccia? Azioni penali internazionali e punizione dei colpevoli sono una tattica. Ma questo basterà? Possiamo essere sicuri che un genocidio del genere non succeda mai più perseguendo tutte le parti colpevoli? E sarebbe possibile punire tutte le persone che hanno preso parte a questo genocidio? E questo porterebbe giustizia? Vera giustizia?

Per i curdi in generale e gli yazidi in particolare, il modo principale di affrontare il 74° Ferman e di prevenire nuovi genocidi sono stati l’auto-organizzazione, l’autogoverno e l’autodifesa. Questo vale in particolare per le donne yazide di Shengal. Certamente le donne yazide di Shengal sono vittime, ma non si lasciano abbattere. Hanno fiducia in se stesse, capendo che solo attraverso l’organizzazione collettiva possono diventare soggetti e padrone della loro volontà — sia dentro che fuori dalle loro comunità. Capiscono che il loro empowerment, la loro organizzazione e autoconsapevolezza sono le risposte più forti che possono dare a una storia di genocidio. Possono vendicarsi di IS e di tutte le forze regionali e internazionali che non hanno impedito il genocidio rafforzando la loro autodeterminazione, e nel farlo, minimizzando la dipendenza del popolo yazida.

Il cambiamento sociale è già iniziato

Anche se sono passati solo quattro anni dal genocidio, si può vedere una differenza evidente nella posizione delle donne a Shengal. Non solo stanno prendendo le armi nelle file delle Unità di Difesa delle Donne di Shengal (YJS),  ma si stanno anche organizzando nell’ambito della TAJÊ. Sono organizzate in Consigli delle Donne e rappresentante nei Consigli del Popolo e nel partito politico PADÊ, prendendo le loro decisioni autonome e partecipando al processo decisionale generale. E stanno diventando sempre più visibili nella vita quotidiana — come produttrici e soggetti. Per esempio TAJÊ ha aperto due panifici a Shengal, entrambe occupano solo donne e sono interamente gestite da donne che fanno il pane e lo vendono. Non vedrete una cosa del genere in nessun altra parte del Kurdistan del sud o in Iraq, dato che tipicamente solo gli uomini lavorano nei panifici. Il Movimento delle Donne Ezide è proprietario di un negozio a Xanesor, dove le donne lavorano dietro al bancone. A prima vista sembra essere molto tipico — ma prima del genocidio, non si poteva vedere una sola donna seduta dietro al bancone.

Pensare che questo cambiamento sociale nella comunità yazida di Shengal possa essere un risultato del genocidio stesso non solo sarebbe cinico, ma anche un’idiozia totale. Il cambiamento in atto è il risultato dell’idea che possiamo dare sollievo al nostro dolore solo organizzandoci. Non è il risultato del genocidio, ma un modo per prevenire nuovi genocidi.

Ipocrisia dell’occidente

Oggi le donne in Kurdistan e in tutto il mondo scenderanno in piazza, commemoreranno le vittime del genocidio, ricordando il destino di oltre tremila donne e bambini tenuti ancora prigionieri e chiedendo che il 3 agosto sia dichiarato Giornata Internazionale di Azione contro il Femminicidio. La maggioranza delle proteste avranno luogo in Germania, nel Paese dell’Europa occidentale con la popolazione ezida più grande. La Germania è stata anche uno dei primi Paesi a ‘accettare’ ragazze e donne ezide per riabilitazione e rifugio. Altri Stati sono seguiti, comportandosi come se stessero facendo un grande servizio umanitario. Ma o involontariamente o no, stanno contribuendo al genocidio culturale separando le giovani donne e ragazze dalle loro famiglie, dalla loro comunità e dalla loro terra natia — invece di sostenere progetti di empowerment a livello locale e di fare pressioni politiche sulle autorità competenti per garantire e assicurare una vita libera per gli ezidi a Shengal. Nonostante 4 anni fa e dopo, il mondo intero abbia parlato del destini delle donne ezide, quasi nessun progetto a sostegno delle donne di Shengal è stato realizzato. Migliaia di persone stanno ancora vivendo nelle tende nella valle, dove fa estremamente caldo in estate e si gela in inverno.

Donne come Neam e Leyla non contano su sostegno dall’estero. Credono nella propria forza. TAJÊ ha appena iniziato a costruire un parco giochi per i bambini. Anche se non è ancora finito, è già diventato un luogo di incontro per le donne con bambini. Vicino al campo giochi ci sarà luogo per le donne, non solo per incontrarsi, ma anche per partecipare a seminari, fare artigianato e partecipare a altre attività. TAJÊ conosce l’importanza del gettare le basi perché le donne possano essere una parte attiva e alla pari in tutti gli ambiti della vita sociale, politica, economica e religiosa. Come altrimenti potrebbe essere possibile un vero e forte scontro diretto con un genocidio in tutte le sue dimensioni?

di Meral Cicek 

 The Region

 

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