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Donne

“Sono andata in montagna per un nuovo inizio”

Un’internazionalista tedesca nel PKK. Intervista con Heval Delia. Nel suo viaggio verso il Rojava, il reporter di LCM Bernd Machielski ha incontrato l’internazionalista tedesca Delia che un anno fa si è unita al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Un colloquio sulle sue motivazioni e la sinistra nella RFT.

Esattamente un anno fa ti sei unita al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). Quali erano allora le ragioni per compiere questo passo?

Sono andata in Rojava un anno fa, lì ho partecipato a una formazione e dopo in modo relativamente veloce ho deciso che voglio essere parte della rivoluzione. Per me all’epoca non bastava essere in Rojava, portare i miei saperi e imparare. Volevo imparare come è nato il partito. La domanda non mi abbandonava: „Come è potuto nascere in Rojava il terreno per una nuova costruzione della società sulla base dell’organizzazione e gestione comunalista?“

Poi ho deciso che per me non sarebbe dovuto essere un percorso a metà. Non volevo continuare a vivere in una bolla all’interno del sistema capitalista che non mi soddisfa più. Sono andata in montagna per cambiare completamente la mia vita e ricominciare da capo.

Com’è stato il tuo periodo in montagna? Dove sei stata, cosa hai fatto?

Prima sono andata sulle montagne nel Basur, Kurdistan del sud, nelle zone di difesa di Medya per ricevere la mia formazione. Prima di iniziare la mia formazione ho passato del tempo a Gare presso le YJA-STAR, le unità di donne della guerriglia. Lì poi abbiamo costruito il nostro Manga e raccolto molte esperienze pratiche – per esempio la costruzione di alloggi e depositi, movimento in montagna, logistica, come si affronta la vita nella natura.

In quel periodo ci sono stati molti nuovi ingressi nel PKK. La formazione è un primo accesso alla pratica e all’ideologia del partito, anche se non ancora così approfondito come per esempio la formazione in un’accademia. Ideologia, vita comune, relazionarsi insieme, Rehevalti, vita comunalista, addestramento militare, valori del partito, sono stati trattati in tre mesi. Una questione centrale nella formazione era come erano le relazioni tra di noi. Come possiamo costruire relazioni tra di noi che non sono orientate alla concorrenza e al profitto? Come creiamo la base per poter contemporaneamente anche crescere a partire da tutto quello che diamo di noi stessi?

Ma linguisticamente per me è stato un problema dato che nessuna amica era in grado di parlare una lingua che avevo imparato. Allora me la sono cavata con qualche parola di curdo e il mio vocabolario. Quello è stato un periodo avvincente. Ma per la mancanza di conoscenza della lingua, soprattutto non potevo seguire le discussioni ideologiche o prendervi parte. Il PKK ha come fondamento una politica fortemente filosofico-ideologica, soprattutto con i nuovi arrivati si tiene molto a trasmetterla. Per imparare meglio il curdo, ma anche per imparare di più, sono stata trasferita di nuovo in un’altra unità nella quale c’erano anche amiche di lingua tedesca, lì poi ho portato a termine la mia formazione.

Puoi parlarci in modo più dettagliato della formazione a livello ideologico? Quali temi, discussioni, ti hanno influenzata e colpita?

Quello che mi ha affascinata più di tutto era la storia del PKK e la storia della liberazione delle donne. Capire perché la questione della donna non è una contraddizione secondaria, ma capire chela donna è la nazione più oppressa, l’essere più schiavizzato. Solo con la liberazione della donna sarà possibile compiere passi decisivi nella lotta contro il capitalismo. Questo mi ha fortemente influenzata e fatta crescere a livello di sviluppo della personalità. Perché il PKK è un partito che segue la massima che i rivoluzionari e le rivoluzionarie devono sviluppare una personalità militante. Questo significa per esempio che la separazione tra vita e privata e lavorativa e attivismo politico tipica dell’Europa, deve essere rimossa. Questo però deve avvenire complessivamente a tutti i livelli. Questi cambiamenti in effetti sono la lotta più grande, il 98 percento della lotta è rivolto contro i propri schemi di personalità e solo il due percento contro il nemico politico.

Siamo appena stati con internazionaliste e internazionalisti nelle montagne di Qandil e abbiamo preso parte a un’azione di scudi umani per protestare contro la guerra di aggressione turca contro Qandil. Dal tuo punto di vista cosa caratterizza l’attuale guerra della Turchia?

La guerra contro Qandil non era programmata a caso in modo da cadere nel bel mezzo della fase elettorale in Turchia. Erdogan voleva trarre profitto da questa guerra, ma in effetti questo è un segno assoluto di debolezza. Al momento pare che ancora una volta ci siano molti gesti minacciosi e politica simbolica. Ma una guerra contro un’ideologia come quella del PKK non si può vincere con le armi. La Turchia attacca Qandil perché le montagne di Qandil sono il cuore del movimento. Qandil è più che solo una catena montuosa. È il cuore della rivoluzione. E proprio per questo non potranno abbattere militarmente la rivoluzione, perché tutte e tutti portano la rivoluzione nel cuore. È il tentativo di una forte guerra psicologica. Per esempio il nemico attraverso i droni limita la tua libertà di movimento, ma questo non vuol dire che non puoi sbrigare i tuoi lavori.

Il problema più grande nella fase attuale in realtà è il terrorismo contro la popolazione civile a Qandil con la quale si cerca di annientare la sua base vitale come pascoli, giardini o animali e di scacciarla in questo modo dalle montagne. Come internazionalista mi sta a cuore a questo punto citare le forniture di armi alla Turchia da parte di USA, Europa, Israele e sopratutto dalla Germania [NdT e dall’Italia].

Retrospettivamente come valuteresti la tua politica nella sinistra in Germania prima della tua adesione al PKK? Dove vedi errori, quali sono le conseguenze per te?

Ho fatto a lungo politica di sinistra radicale in contesti anarchici e autonomi. Ma oggi non so più se ha potuto davvero sviluppare degli effetti. Quello che ho realizzato per me, è che la rivoluzione non vuol dire: azione, azione, azione e quando c’è il botto allora è bello. La rivoluzione avviene quando ci sono cambiamenti radicali. La maggior parte delle volte nella RFT siamo riusciti solo a riunirci per lavorare per una cosa concreta. Questo si rispecchia nella cosiddetta politica del pompiere.

Ma non ne risulta un’organizzazione salda, invece ho vissuto piuttosto molte spaccature. E la prospettiva di una rivoluzione sociale, al di fuori della propria base di sinistra radicale, mi è mancata molto. Il pensiero di liberare solo se stessi, nelle proprie case, ecc., non basterà. Fino a quanto esisteranno il patriarcato e il capitalismo, non sarà mai possibile raggiungere una vita buona per tutte e tutti noi. In effetti questo non è niente di nuovo, ma spesso non riusciamo a renderci consapevoli della nostra storia. Come ultimo punto: quello che mi è mancato molto è un’organizzazione ampia nella RFT. Cioè un’organizzazione nella società intera. Si tratta di cambiare questo e in questo possiamo imparare molto dal movimento curdo.

# Bernd Machielski fa parte della radikale linke berlin (rlb) e nei prossimi mesi sarà corrispondente dal Rojava del Lower Class Magazine

http://lowerclassmag.com/2018/08/ich-bin-in-die-berge-gegangen-um-neu-anzufangen/

 

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