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E ognuno vuole un pezzo della torta

Gli sviluppi dei primi anni 2000 hanno creato l’impressione che in Iraq si stesse lentamente formando un sistema federale e fino allora anche nel Kurdistan del sud sembrava tutto a posto. C’erano buone relazioni con il governo centrale iracheno a Bagdad, i curdi erano rappresentati anche lì con i loro deputati eletti e nei ministeri e il Parlamento curdo fondato a Hewlêr (Erbil) si occupava dei problemi della regione.

A quell’epoca i curdi erano il diciassette percento della popolazione irachena e pertanto ricevevano una corrispondente quota del bilancio centrale e attraverso oleodotti di nuova costruzione esportavano e commerciavano petrolio. Con il denaro guadagnato le persone riuscivano agevolmente a finanziare il loro sostentamento, furono costruite nuove strade, ospedali e grandi edifici. Non c’erano problemi economici seri, molte persone avevano più di uno stipendio, lavoravano in diversi posti e acquisivano proprietà privata.

Il »sapore dolce« del capitalismo

Pian piano divenne tangibile anche il capitalismo. Vennero importate auto di lusso dall’Asia orientale, ora davanti alla stessa casa si trovavano da due a tre macchine e dalla Turchia vennero importati mobili e abbigliamento di lusso. In breve, lusso e consumi fecero il loro corso.La gente nella regione non era condannata a lavori precari come camerieri, pulitori o edili. I primi due lavori citati venivano svolti da persone dei Paesi africani, mentre le persone povere del Kurdistan del nord erano impiegate nell’edilizia. La produzione non veniva incentivata in alcun modo. I curdi che un tempo vivevano dell’economia di sussistenza, ora compravano pomodori, uova, latte all’esterno della loro regione. Le vetrine dei negozi di grido venivano decorate con merci turche, arabe e iraniane.

Quando i governanti assaggiarono il sapore dolce del capitalismo, lentamente la situazione è cambiata. Iniziarono in segreto commerci di petrolio con la Turchia di cui la società era all’oscuro e i soldi guadagnati andavano nelle casse private. Le persone ricevevano parti sempre più piccole della torta, fino a quando non ricevettero più niente. L’Iraq reagì con l’ammonimento che era noto che i proventi della vendita di petrolio alla Turchia non venivano trasferite nelle casse dello Stato centrale. Poi l’Iraq fermò il diciassette percento del denaro che spettava al Kurdistan del sud e lì la »crisi« diventò percepibile. Negli anni dal 2015 al 2016 gli stipendi vennero pagati in modo discontinuo, fino a quando nel 2017 cessarono quasi del tutto. Vennero fermati gli investimenti. I lavoratori che venivano da fuori, lentamente si ritirarono, la maggioranza lasciò il Paese.

Il Presidente della Regione Autonoma Kurdistan Mesûd Barzanî prolungò il suo mandato di due anni con decisione parlamentare. Alla fine di questi due anni continuò a governare senza un voto sul suo mandato.

Il piano con il referendum sull’indipendenza

In aggiunta al problema della povertà iniziò la crisi politica. La società curda perse la fiducia nei partiti politici e i potentati del Paese cercarono modi per restare al potere.

Proprio in quel periodo Barzanî rese pubblica la sua idea sul referendum per l’indipendenza. Si volevano fomentare i sentimenti nazionali della società. In caso di esito positivo doveva essere sia garantita l’indipendenza sia assicurato il potere. Ma il piano non ha avuto l’esito previsto.

Gli Stati Uniti che negli anni ’90 avevano istituito una zona di divieto di volo per l’aviazione irachena e consegnato la regione al governo autonomo curdo sottolinearono più volte che di non accettare il referendum sull’indipendenza. Insistevano sull’integrità territoriale dell’Iraq e inviarono diverse delegazioni nella regione. La Turchia spostò le sue truppe sul confine, eseguì manovre militari e interpretò il referendum come una dichiarazione di guerra. L’Iran inviò soldati nella sua regione curda e eseguì attacchi aerei di ammonimento. Anche dall’Europa arrivarono dozzine di delegazioni, ma nessuno riuscì a convincere Barzanî.

Alla fine venne tenuto il referendum. La gente, come atteso si è recata alle urne e ha votato »Sì«. Questo è stato l’inizio della catastrofe. Le milizie Hashd-al-Shaabi sotto il controllo dell’Iran insieme all’esercito iracheno occuparono prima Duzxurmatu e poi anche Kerkûk. Su ordine del governo curdo i peshmerga si ritirarono da molti territori senza combattere. Kerkûk, Xurmatu, Başiqa e Pirdê finirono sotto il controllo di forze arabe. I territori elencati determinano il quarantacinque percento della superficie del Kurdistan del sud. L’Iraq non si accontentò di questo, chiuse gli aeroporti al traffico aereo internazionale con l’aiuto della Turchia e dell’Iran prese il controllo dei valichi di confine e con questo i principali canali economici del Kurdistan del sud.

Elezioni a maggio

Continua l’incertezza sul futuro della regione. Settimanalmente delegazioni curde visitano Bagdad, ma finora senza risultati. A maggio in Iraq ci saranno elezioni, ma ancora non è chiaro quali partiti vi possano partecipare, perché il governo Abadi ha annunciato che partiti con forze armate sono esclusi. Se si prendono sul serio queste parole, con questo fa riferimento al Partito Democratico del Kurdistan KDP e all’Unione Patriottica del Kurdistan PUK, gli unici due partiti con forze armate.

Un’altra dichiarazione del governo iracheno si riferiva agli stipendi. Verranno pagati da Bagdad solo dopo aver esaminato bene le liste, dato che nel Kurdistan del sud c’è un numero troppo alto di peshmerga e dipendenti pubblici. Secondo voci il governo Abadi parla di ridurre il numero dei 400.000 peshmerga a un numero tra i 50.000 e i 100.000. Questo significa rimuovere 300.000 armati dal libro paga. È evidente che questo porterà a tensioni serie. Non voglio immaginare cosa potrebbe succedere in un caso del genere.

La situazione nella regione è molto tesa. Gli insegnanti boicottano di nuovo le lezioni e da due, tre anni non ci sono lezioni adeguate.

Il governo regionale si piega alla situazione

Gli USA finora hanno solo osservato gli eventi e si ritengono confermati nei loro ammonimenti al governo del Kurdistan del sud. Anche gli Stati europei si comportano come gli USA. L’Iraq stesso tiene i fili in mano e sostiene che i numeri della popolazione sarebbero cambiati. Dato che non costituisce più il 17 percento, ma solo il 12 percento dell’intero Paese, anche il contributo verrà ridotto di conseguenza. E con l’apertura degli aeroporti e dei valichi di confine, continua a mantenerne il controllo. Il governo regionale sembra piegarsi alla situazione. La Turchia è molto contenta della situazione attuale e mantiene i suoi rapporti con il KDP. La sua presenza militare nella regione con gli eventi durante il referendum e l’aperta ostilità dell’epoca continua. E anche le imprese turche continuano a vendere le loro merci.

L’Iran vive la gioia dell’accordo con l’Iraq sul petrolio a Kerkûk e con le milizie Hashd-al-Shaabi governa le regioni dove c’è tensione.

A parte la popolazione povera del Kurdistan del sud, tutti gli altri sono felici e contenti.

 

Necmettin Salaz, scrittore e giornalista sugli eventi in Kurdistan del sud per Kurdistan Report marzo/aprile 2018
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