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Diritti umani

Quarta udienza contro Nuriye e Sehim Ozakca

Come preannunciato, il 17 novembre nel carcere di Sincan (Ankara) si è svolta la quarta udienza del processo intentato contro Nuriye Gulmen e Semih Ozakca (*). Forse è prematuro parlare del governo di Erdogan come di «un regime ormai in preda alla disperazione» per non essere più in grado di estirpare il dissenso. Magari non sarà proprio “disperato” ma sicuramente appare in difficoltà. Se ancora non boccheggia però ansima per lo sforzo. Non barcolla, per ora, ma sicuramente annaspa.

Fra gli obiettivi prioritari del governo AKP (Adalet ve Kalkınma Partisi) c’è mettere definitivamente a tacere le voci di questi due eroici insegnanti in sciopero della fame dal 9 marzo. Nuriye e Semih stanno lottando per riavere non solo il posto di lavoro ma anche per la loro dignità di cittadini. Una dignità violata dalle massicce purghe che hanno portato al licenziamento di migliaia e migliaia di lavoratori.

Ufficialmente costituivano una ritorsione per il “tentato golpe” del 2016 ma poi chiaramente sono andate oltre. Colpendo, condannando alla morte civile soprattutto persone del tutto estranee alla vicenda. Un’occasione imperdibile per liberarsi di ogni oppositore, magari solo potenziale.

Adesso il potere turco ha estratto dalla manica un altra carta (truccata, a quanto sembra) procurandosi un nuovo “collaboratore”. Di quelli stipendiati ovviamente. Fatih Sofak ha fatto pervenire una sua dichiarazione che è apparsa in palese contraddizione con quella di Berc Ercan, l’altro accusatore dei due insegnanti (pure lui a libro paga).

Quanto a Nuriye, anche stavolta non le è stato consentito di presenziare. E’ apparsa però in videoconferenza e – nonostante 254 giorni di sciopero della fame abbiano chiaramente lasciato il segno – si è mostrata (raccontano i militanti solidali presenti in aula) «sempre con la stessa forza e con lo stesso sorriso». La forza di chi sa di essere nel giusto, aggiungo.

La sua dichiarazione è stata interrotta più volte dal giudice che ha dato prova di un’assoluta mancanza di rispetto nei confronti della prigioniera politica. Lei comunque si è rifiutata di rispondere alle accuse fintanto che non le verrà consentito di lasciare l’ospedale di Numune (dove rimane segregata) e di essere presente in aula. Lo farà, ha spiegato, quando potrà «guardare tutti negli occhi». Intendendo soprattutto gli occhi dei suoi accusatori.

Nuriye Gulmen ha invece voluto ringraziare lungamente tutti coloro che si stanno esponendo con azioni di solidarietà nei confronti della lotta condotta da lei e da Semih. Alla fine il tribunale ha sostanzialmente confermato l’attuale situazione. Nuriye, indicata come facente parte della gerarchia dell’organizzazione DHKP-C,non è stata scarcerata e resta quindi piantonata in ospedale. Invece Semih, accusato di essere membro e propagandista della stessa “organizzazione terrorista”, rimane ai domiciliari.

Per l’altra imputata, Acun Karadag, è invece decaduta ogni accusa di relazione con l’organizzazione DHKP-C. Si è trattato presumibilmente di un tentativo per spezzare, con un trattamento differenziato, il forte legame che esiste fra i tre imputati. Ma nella dichiarazione in aula Acun ha confermato la sua solidarietà nei confronti di Nuriye. Un intervento che ha suscitato una forte emozione, sia nei presenti che nella stessa Nuriye, sollevatasi dal letto «regalandoci uno dei suoi sorrisi più belli» (come ha raccontato un solidale). Per Acun è stato comunque confermato l’obbligo di firma settimanale.

Per i manifestanti che protestavano fuori dal tribunale: cariche della polizia, gas lacrimogeni e cannoni ad acqua. Ordinaria amministrazione di questi tempi.

La prossima udienza, la quinta ormai, si terrà il 27 novembre. E probabilmente neanche stavolta a Nuriye verrà consentito di essere presente in aula.

Fra gli avvenimenti recenti da segnalare, l’arresto avvenuto (una quindicina di giorni fa) di Selcuk Kozagacli, portavoce degli avvocati progressisti della Turchia, da tempo vittima di una campagna di stampa diffamatoria. In precedenza Selcuk Kozagacli era già stato escluso con decreto del tribunale di Ankara dal collegio difensivo (di cui era presidente) di Nuriye e Semih. Con in aggiunta il divieto di occuparsi del caso e di essere presente alle udienze. Al momento si trova ancora in carcere.

Negli ultimi 15-20 giorni il ritmo degli arresti sembra aver subìto un’accelerazione. Si calcola che siano oltre un’ottantina i prigionieri politici trascinati nelle prigioni turche in soli tre mesi.

 

Di Gianni Sartori

 

(*) cfr Libertà e giustizia per Nuriye Gulmen e Semih Ozakca, Fame di giustizia in Turchia e L’unica libertà rimasta in Turchia è quella di morire, ma in silenzio

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