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Opinioni e analisi

Se l‘AKP non può aggrapparsi a Trump …

Mai nei turbolenti anni ‘70 delle relazioni turco-statunitensi c’è stata una fase come quella di oggi. Dichiarazioni ufficiali, relazioni di Think-Tanks e l’immagine nei media statunitensi da un po‘ di tempo sono negativi come mai prima. Alla fine però gli USA continuano ad avere un ruolo che per la Turchia è di particolare importanza. Questo vale in particolare per l’AKP, per il quale nel 2001 gli USA sono stati i più importanti sostenitori nel percorso verso il potere. Di questo sono consapevoli anche le aree vicine al governo e per questo sono particolarmente preoccupate. In questo editoriale cercherò di analizzare la svolta nella politica degli USA sulla Turchia. Come è potuto succedere che gli USA che inizialmente riponevano grandi speranze nell’AKP ora compiano una simile giravolta? Voglio mostrare che il problema non dipende dall’amministrazione Trump o da qualcosa del genere, ma dalla disdetta unilaterale di determinati accordi degli anni 2000 tra Erdoğan e gli USA.

L’eliminazione del kemalismo: l‘AKP

Sulla via verso gli anni 2000 il sistema politico della Turchia dal punto di vista della globalizzazione in corso sotto molti aspetti era problematico. L’élite kemalista come rimasuglio della guerra fredda aveva continuato a sfruttare il laicismo per sottomettere l’islamismo e il nazionalismo e per la repressione del movimento curdo e della sinistra. Inoltre non era in grado di ridurre l’influenza dell’esercito sulla politica o non era disposto a farlo.

Negli anni 2000 quindi il sistema stagnava. I kemalisti fecero l’errore che ora stanno facendo gli islamisti e cercarono di essere una parte dell’occidente, ma rifiutavano il cambiamento che il sistema occidentale chiedeva. Proprio in questo momento, quando la crisi del 2001 era all’apice, nacque l’AKP. Il sistema statale turco doveva essere sottoposto a una trasformazione ed era evidente che questo non era possibile con politici kemalisti.

L’accordo degli islamisti con l‘occidente

I “Riformisti ” 1, che si staccarono dal movimento islamista di Erbakan, avevano costruito relazioni strette con l’occidente e promisero progressi nei seguenti tre settori: neoliberismo e economia dei consumi anziché industrializzazione, riforme democratiche in politica e aspirazione all’ingresso nell’UE, e interruzione del corso anti-Israele. In questo modo gli islamisti da un lato dovevano trasformare sé stessi e dall’altro modificare lo Stato per diventare alla fine un “modello” per il Medio Oriente.

Detto apertamente questo accordo dal 2002 ha funzionato come previsto. L’AKP è stato molto lodato da USA e EU per via del suo “islamismo moderato”. Questo è arrivato al punto che gli esperti USA che oggi in Turchia sono oggetto di considerazioni “critiche”, prima erano veri e propri difensori dell‘AKP nelle piattaforme internazionali. Un libro di Graham Fuller, ex uomo della CIA e influente analista politico negli USA, viene espulso dalle librerie dell’AKP. Henri Barkey e Morton Abramotiz, entrambi ex-ambasciatori USA ad Ankara, chiamarono il processo del 2008 per il divieto dell‘AKP “golpe dei giudici”. Detto in soldoni, le lodi e il sostegno degli USA sono durati circa fino al. 2011. Da allora tuttavia si è annunciato il cambiamento che dal 2013 ha assunto la forma di una critica aperta dell‘AKP.

La primavera araba e l‘AKP

Durante la primavera arata alla fine le relazioni tra USA e AKP hanno iniziato a sgretolarsi. Durante questa fase, in cui il regime laico-autoritario è stato sostituito da uno moderatamente islamico, Erdoğan sognava – forse sotto l’influenza di Ahmet Davutoğlu – una nuova egemonia neo-ottomana che arrivava dalla Tunisia al nord dell’Iraq. Erdoğan-Davutoğlu la ritennero una “occasione storica” e disdettarono unilateralmente gli accordi con gli USA. Invece del potere sostenuto da USA e UE si perseguiva una nuova egemonia sotto la guida di Erdoğan. In altre parole: mentre ci si aspettava di rendere la Turchia un “modello” per i movimenti islamisti in tutto il mondo, Erdoğan cercava di diventare un „leader globale“.

Questo tentativo avventuroso irrealistico, non preparato e basato più sull’eroismo che su un programma politico è notoriamente finito con un fiasco. Il “modello Turchia” e la trasformazione dell’islamismo in Medio Oriente sono falliti. Gli USA hanno capito il tentativo di Erdoğan e hanno sempre più preso le distanze da lui. Dato che il sostegno degli USA si basava sull’accordo degli anni 2000 e Erdoğan li aveva disdettati unilateralmente, non c’era più ragione di continuare a sostenere Erdoğan. Allo stesso tempo smise anche il sostegno dell‘AKP da parte dei Gülenisti e le prime scosse sono diventate chiaramente percepibili nell’operazione dal 17 al 25 dicembre 2013.2 Erdoğan se ne è accorto presto e ha cercato i responsabili nelle proprie file. Poco a poco nelle file dell’AKP si è diffusa la paura di una possibile perdita di potere. Erdoğan temeva sempre di più che l’occidente volesse rovesciarlo e da allora in avanti ha preso ogni evento sul personale.

Eurasia al posto di Trump

Erdoğan stesso e le aree vicine all‘AKP sapevano benissimo quello che facevano. Allo stesso tempo speravano che con l’elezione di Trump si sarebbe potuta aprire una pagina nuova, priva di gravami, nelle relazioni turco-statunitensi. Si perseguiva un nuovo inizio nel quale il passato viene semplicemente “dimenticato”. Ma si sono sbagliati. Il problema non era l’amministrazione USA, ma la politica di Erdoğan che come partner negoziale minore disdettava unilateralmente gli accordi.
La reazione a questa delusione consisteva nella repressione a livello di politica interna e nel rivolgersi in politica estera alla “Eurasia”. Nella politica interna Erdoğan ha avuto l’approvazione degli “eurasiatici” e si è avvicinato alla Russia e all‘Iran. Questo cambio di politica è stato spacciato come presunta autonomia in politica estera. Ma per quanto questa presunta autonomia nell’arena internazionale durante la primavera araba si basasse sull’aver sovrastimato se stessi e quindi è andata fallita, altrettanto il tentativo attuale di perseguire un “corso autonomo” in politica estera consiste nella paura di perdere il proprio potere. Mentre Erdoğan nel primo tentativo voleva assurgere a “leader globale”, ora si aggrappa disperatamente al potere che rischia di sfuggirgli.

Autonomia in politica estera: è possibile?

Nelle condizioni attuali questo dal punto di vista della politica turco-islamista questo non è piuttosto impossibile, anche se le ragioni sarebbero molteplici. A questo punto va detto che l’economia, l’esercito e la sicurezza sono stati legati dall’AKP all’occidente molto più di quanto avvenisse negli anni ‘70.

Per poter condurre una politica estera autonoma un Paese deve o avere un significato di spicco dal punto di vista economico per l’economia internazionale (come p.es. il campione mondiale di esportazioni Germania) o deve accettare l’isolamento totale del mondo occidentale. Ma perfino in queste condizioni il tutto resta abbastanza difficile. Se consideriamo l’Iran o il Venezuela, quindi i paesi che ha prendono la via dell’isolamento dall‘occidente, vediamo che loro stessi nonostante i loro vantaggi in politica energetica a livello globale possono realizzare solo parzialmente una politica estera autonoma e che allo stesso tempo per questo devono pagare un prezzo elevato. A parte questo Erdoğan e l‘AKP non sembrano maldisposti rispetto a un miglioramento delle relazioni con gli USA se gli venisse tesa una mano.

A parte il periodo tra del 1945-1950 quando un certo Inönü indirizzava le questioni dello Stato turco, gli USA si scontrano per la prima volta con la Turchia che a partire dalla sua dinamica interna ha costruito un sistema autoritario. Quindi abbiamo a che fare con un potere che dal punto di vista della politica interna è autoritario, culturalmente islamista e dal punto di vista della politica estera orientato verso l‘Eurasia, ma allo stesso tempo non vuole rinunciare al neoliberismo a livello economico. Per questo possiamo partire dal fatto che il sistema USA attualmente sta riflettendo su come deve posizionarsi rispetto a un sistema politico “nuovo” i cui sviluppi sono sfuggiti all’influenza degli USA.

 

Il politologo İlhan Uzgel analizza la crisi nelle relazioni turco-statunitensi, 25.10.2017

L’articolo è stato pubblicato originariamente il 23.10.2017 sul portale di notizie Gazete Duvar con il titolo “Trump’a tutunamamak”.

1. Erdoğan, Gül, Arinc e altri appartenenti all’AKP poi diventati famosi che si sono staccati da Milli Görüs all’epoca si chiamavano così
2. Per via dell’accusa di corruzione in quel periodo la Procura dello Stato ha avviato indagini contro importanti appartenenti all’AKP, secondo il governo le indagini sono state coordinate da appartenenti al Movimento Gülen all’interno dello Stato

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