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Kurdistan

Come la “Campagna per il No” diventa impossibile

Stiamo andando verso il referendum in Turchia. Ma questo percorso è accompagnato da condizioni e da un’atmosfera che con queste modalità in Turchia non c’erano nemmeno ai tempi dei golpe militari. Il “tentativo di golpe” del 15 luglio dello scorso anno recentemente si è trasformato in un golpe civile. La repressione e gli attacchi da parte del governo ai quali sono esposte le persone, ormai hanno assunto un carattere addirittura istituzionalizzato.

Così gli esperti, dando uno sguardo al settore die media in Turchia, possono osservare una politica di omologazione già compiuta con successo. I contenuti veicolati dai media vengono vagliati da una pratica di censura e autocensura su ampia scala prima di essere trasmessi all’opinione pubblica. Con un procedimento simile vengono scelti anche gli ospiti nelle discussioni televisive.

Quando il governo dopo il tentativo di golpe per decreto ha fatto chiudere innumerevoli giornali di opposizione, canali TV e radiofonici, ha creato un‘unità nelle proprie file che si occupa in modo esplicito della “politica sui media” durante lo stato di emergenza. L’esistenza di un simile gruppo non è un segreto. La sua funzione è quella di un ministero per la propaganda e determina quali contenuti mediatici vanno trasmessi al pubblico in che momento e tramite quali canali.

Attualmente in Turchia abbiamo a che fare con un sistema statuale nel quale i magistrati perdono il posto quando vogliono rilasciare giornalisti che si trovano in carcere senza prove a loro carico. Il numero di giornalisti in carcere attualmente è di oltre 170. Così ad esempio giornalisti del tradizionale quotidiano Cumhuriyet vengono accusati di appartenere contemporaneamente a tre diverse “organizzazioni terroristiche” che non hanno assolutamente nulla a che fare l’una con l‘altra. E le presunte prove per queste accuse assurde, la pubblica accusa le raccoglie da articoli o dalle notizie brevi via Twitter redatti dai giornalisti sotto accusa.

L‘impossibile “Campagna per il No” Kurdistan del nord

Oltre alla stampa libera, la furia della repressione del potere governativo colpisce in particolare coloro che al referendum intendono votare “No”. In particolare nel Kurdistan del nord, alla “campagna per il No” non viene praticamente data aria per respirare. Così le manifestazioni dell’HDP per il referendum vengono arbitrariamente vietate dai governatori. I veicoli per la campagna elettorale dell’HDP sono stati sequestrati in gran numero. Qualsiasi veicolo sul quale si vede un logo dell’HDP viene ritirato dalla strada e gravato di multe pesanti. Non si trovano nemmeno locali chiusi cercati per iniziative elettorali della campagna per il No. Ai gestori di hotel e sale per matrimoni è stato comunicato in modo inequivocabile che devono aspettarsi conseguenze finanziarie se mettono i propri locali a disposizione dell‘HDP. Perfino la canzone elettorale dell’“Bejin Na” (“Dite No”) è stata vietata dai governatori in molte località. La motivazione è semplice – si tratta di una canzone curda! E anche i manifesti elettorali dell’HDP sono stati strappati e raccolti. Anche qui il pretesto è stato l’uso della lingua curda.

I possibili pericoli nel giorno del referendum

Un’altra questione della quale è necessario parlare in questa sede è l’insicurezza nel giorno del referendum. Già nelle elezioni fuori dalla Turchia che sono in pieno svolgimento, si vede che in molti luoghi i rappresentanti dell’HDP non vengono ammessi alle urne come collaboratori. Questa pratica rappresenta una violazione del diritto, perché secondo la legge turca, i partiti che nelle ultime elezioni si sono piazzati nei primi quattro posti hanno il diritto di presentare collaboratori per le operazioni elettorali. Questo diritto ora nelle votazioni all’estero è stato palesemente negato all‘HDP. E sembra che anche nel giorno del referendum in Turchia, il 16 aprile, si delineerà un quadro del genere. Perché già ci sono casi in qui iscritti all’HDP vengono rifiutati come presidenti si seggio, anche se dal punto di vista legale ne avrebbero diritto. Queste decisioni dell’Alto Consiglio Elettorale in Turchia (YSK) vengono motivati con accuse tirate per i capelli contro gli iscritti dell’HDP interessati. Al loro posto poi vengono messi iscritti dell‘AKP. Contemporaneamente, diverse persone i cui nomi sono stati trasmessi dall‘HDP all’Alto Consiglio Elettorale come presidenti di seggio, poco dopo sono stati arrestati dalla polizia.

Per garantire il risultato desiderato del referendum anche nei villaggi, l’AKP ora nel Kurdistan del nord, oltre ai sindaci, ha iniziato a destituire anche capi-villaggio legati all‘opposizione. Ai loro posti poi vengono messi guardiani di villaggio o seguaci dell‘AKP. In una gran parte dei comuni curdi nei quali è stato eletto il Partito Democratico delle Regioni (DBP) sono stati comunque già nominati fiduciari vicini al governo. E insieme a queste strutture amministrative che sono state messe sotto il controllo dell’AKP in modo forzato, Erdoğan nel Kurdistan del nord conduce la sua “campagna per il Sì”. Da ultimo ad Amed (Diyarbakir), dove il Presidente turco con tanto di componenti del governo aveva chiamato a una manifestazione per il Sì.

Mentre quindi per la campagna di Erdoğan vengono messi a disposizione tutti i mezzi statali, il governo non lascia nulla di intentato per sabotare la campagna per il No dell‘HDP. Così recentemente a Şirnex (Şırnak) i deputati HDP che si recavano a una manifestazione, sono stati trattenuti per ore per blocchi della polizia. Va qui ricordato l’arresto di 13 deputati HDP e le quotidiane ondate di arresti contro attivisti dell’HDP. In questo scenario è praticamente ridicolo che rappresentanti dell’AKP si indignino per presunti ostali alle loro attività di propaganda in Europa.

Oltre all’HDP anche i restanti attori politici che pubblicizzano un No al referendum non vengono risparmiati. Per fare degli esempi: nella città di Niğde dell’Anatolia centrale, una manifestazione per il No di Meral Akşener, dell’opposizione interna all’MHP, ormai estromessa dal partito, è stata revocata dal governatore perché in città sarebbero vietate per un tempo indefinito tutte le manifestazioni politiche. Ma appena Akşener ha lasciato i confini della città di Niğde, il governatore ha di nuovo cambiato idea e ritirato il suo divieto perché in città possano svolgersi tranquillamente le manifestazioni per il Sì. Cose simili capitano al CHP kemalista quando vuole fare propaganda per il No in iniziative elettorali all’interno delle università. Numerosi deputati CHP che volevano registrare iniziative del genere nelle università, hanno avuto disdette da parte dei rettori, I rettori a loro volta o hanno ricevuto l’incarico di recente da Erdoğan stesso o sono di quelli che non vogliono fare “errori” per non perdere il posto.

Vediamo quindi che in Turchia e nel Kurdistan del nord si accumulano episodi come questi. La Turchia si avvia verso un referendum costituzionale come un Paese nel quale i diritti umani fondamentali sono temporaneamente revocati, con il desiderio del governo di revocare questi diritti per lungo tempo. In queste condizioni è chiaro che il referendum in effetti già a monte non ha alcuna legittimità. Nonostante questo, gli oppositori del regime presidenziale fanno di tutto per provare ancora a fermare l’auspicata dittatura di un solo uomo. Perché una cosa la sanno bene, se non dovessero riuscire, allora gli attuali sviluppi in Turchia saranno stati solo l‘inizio.

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