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Kurdistan

La politica anti alevita della Turchia e i curdi

Gli aleviti sono parte centrale del movimento di liberazione curdo e della politica di sinistra e progressista turca.Con la politica autoritaria, conservatrice e settaria del Presidente turco e del suo partito AKP, la Turchia sta tenendo l’Unione Europea in ostaggio strumentalizzando la sofferenza dei rifugiati siriani. Egli continua a rafforzare il suo governo individuale con la sua paranoica guerra al terrore in cui paradossalmente mette insieme in un solo blocco monolitico il movimento curdo, lo Stato Islamico, gli accademici, alcuni settori militari e il suo precedente mentore e collaboratore Fethullah Gülen.

Parte del controverso piano di Erdoğan, che consiste nel mettere le comunità le une contro le altre per sbarazzarsi di ogni componente etnica, religiosa, ideologica, sociale e politica che possa sfidare il suo progetto neo-ottomano profondamente settario, prende di mira la popolazione alevita del paese.

Sin dal marzo 2016 i residenti dei villaggi curdo-aleviti a Kahramanmaraş o Maraş (Gurgum in curdo) hanno resistito attivamente alle politiche di insediamento dello Stato. Lo Stato turco vuole costruire un campo della Presidenza della Gestione delle Emergenze e dei Disastri, o AFAD, attorno alla valle del villaggio Terolar – composto prevalentemente da arabi sunniti provenienti dalla Siria. Mentre offrono una immagine “pulita” al mondo esterno, questi infami campi rifugiati sponsorizzati dallo Stato hanno spesso fornito ai jihadisti un rifugio sicuro per le cure, il reclutamento e una protezione. Sono stati ampiamente riportati casi di abusi sessuali e traffico di esseri umani. Questi campi sono stati ampiamente studiati come luoghi dove l’AKP consapevolmente mobilita i rifugiati per il suo programma ideologico e politico.

Il campo previsto a Terolar dovrebbe ospitare una popolazione di rifugiati più numerosa della popolazione locale

Le prolungate manifestazioni dei residenti dei villaggi come Terolar e oltre, che paventano un pericoloso programma in questo nuovo piano di insediamento, si sono scontrate con la violenza della polizia per mesi. Con una mossa piuttosto astuta il governo e i media hanno descritto la loro legittima resistenza in termini di sentimenti anti-rifugiati dei residenti locali, quando in realtà ciò fa parte di un progetto più ampio dell’AKP per istigare conflitti fra comunità e imporre drammatici cambiamenti demografici nelle regioni curde per ottenere vantaggi politici e economici utilizzando i rifugiati.

Una storia dei massacri contro gli aleviti

Per comprendere in maniera esaustiva la resistenza a Maraş, è importante essere consapevoli della profondamente radicata storia genocida dello Stato moderno turco contro la comunità curdo-alevita, un’eredità che precede l’amministrazione apertamente religioso-confessionale di Erdoğan, nonostante le pretese secolari dei precedenti governi. Negazione e distruzione sistematica di coloro che non sono turchi e sunniti hanno costituito un pilastro fondante dello Stato-nazione turco, indipendentemente da quanto esso abbia inquadrato la sua immagine in termini progressisti e laici. Dunque, i genocidi contro gli armeni, i greci del Ponto, gli assiri e i curdi – fra questi soprattutto ezidi e aleviti – furono fondamentali e persino vitali per il paradigma di “modernità” di questo stato artificiale imposto con la violenza, che trovò un capro espiatorio per ogni decennio in collaborazione con i militari, l’estrema desta e i fondamentalisti islamici.

Mentre alcuni massacri sono stati attuati come campagne di linciaggio o uccisioni individuali di aleviti sponsorizzate dallo Stato, altri furono operazioni di pulizia etnica su larga scala pianificate da parte dello Stato. Per decenni “contrassegnare” le case degli aleviti come obiettivi di odiosi attacchi e demonizzare lo stile di vita degli aleviti attraverso leggende metropolitane, menzogne e propaganda fu un programma costante dello Stato. La sistematica cancellazione e islamizzazione forzata del pensiero, della cultura, della storia e dei valori aleviti, che presentano caratteristiche ecologiche, comunitarie, anti-autoritarie e spesso orientate alle donne, sono profondamente motivate ideologicamente, dal momento che la filosofia alevita incorpora organicamente un’opposizione allo stato autoritario, capitalista e patriarcale.

Nel 1938 la città curdo-alevita di Dersim venne spietatamente bombardata, assassinando più di 15.000 persone, dopo una grande sollevazione della popolazione capeggiata da Seyît Riza, una rispettabile personalità politica e leader tribale.Tra i piloti da combattimento c’era anche Sabiha Gökçen, la figlia adottiva del fondatore della Repubblica Mustafa Kemal, da cui prende il nome il terzo più grande aeroporto della Turchia. Glorificarla come la prima donna pilota combattente nel mondo e la prima donna pilota in Turchia, fa parte dei tanti tentativi dello Stato di coprire le sue capacità genocidarie attraverso la narrativa della modernità: una moderna donna turca che bombarda i curdi arretrati – una perfetta storia della modernizzazione.

Uno dei più grandi massacri contro i curdi aleviti ha avuto luogo nel 1978 a Maraş, lo stesso luogo dove lo Stato tenta oggi di insediare i rifugiati arabi sunniti. In un clima politico già teso pieno di scontri tra destra e sinistra, anticipando l’infame colpo di stato del 1980, una furia omicida imperversava a Maraş, dove le abitazioni degli aleviti furono attaccate, bruciate, e la gente venne assassinata nelle strade. Più di cento persone furono assassinate, e per gli aleviti fu chiaro che erano stati i corpi della contro-guerriglia dello Stato ad aver provocato questi attacchi. Dopo questo trauma collettivo, decine di migliaia di persone fuggirono in altre parti della Turchia e in Europa. Molti smisero di insegnare il curdo ai propri figli per paura, e lentamente si assimilarono per istinto di autoconservazione.

Il periodo successivo al colpo di stato fu contrassegnato da molti incidenti, che fecero eco al grande massacro di Maraş. Nel 1993 una folla islamico-fascista con intenzioni di linciaggio attaccò l’Hotel Madimak a Sivas, dove intellettuali, pensatori, artisti, scrittori e intellettuali si stavano preparando per un festival culturale alevita. La polizia turca, a quel tempo laica, rimase a guardare e in alcuni casi aiutò perfino la folla fascista che dapprima lanciò pietre contro l’hotel per poi dargli fuoco, con il risultato di 33 aleviti soffocati o bruciati vivi e molti feriti.

Gli eventi sanguinosi del marzo 1995 occorsi nel quartiere Gazi di Istanbul a maggioranza alevita furono un altro episodio di assassinio e violenza diretta contro gli aleviti, i curdi in generale, e la sinistra, uccisi da esponenti della destra sponsorizzati dallo Stato. La polizia sparò alla cieca sulla folla di gente che manifestava contro il massacro a Gazi. Gli attacchi, i linciaggi, la marcatura delle abitazioni per prendere di mira e molestare gli aleviti a Gazi continuano ancora oggi.

Come dimostra questa cronaca non esaustiva, i militanti laici kemalisti, i nazionalisti di estrema destra e gli islamisti conservatori in Turchia hanno sempre messo da parte le loro differenze e unito le forze contro coloro che vedevano come una minaccia all’autoritaria dottrina di “uno stato, una bandiera, una nazione, una lingua, una religione” che condividono, con piccole differenze. Attraverso la sua politica apertamente islamista, Erdoğan ha solo portato questo retaggio a un nuovo livello, aiutato dalla crescita del gruppo dello Stato Islamico.

Ma c’è anche una lunga storia di resistenza. Gli aleviti sono parte fondamentale del movimento di liberazione curdo e della politica turca di sinistra e progressista. Specialmente le donne curdo-alevite, che hanno sofferto più degli uomini questo tipo di attacchi violenti, si sono unite fin dall’inizio in gran numero alle fila di gruppi politici differenti, e in particolare al Partito dei lavoratori del Kurdistan, PKK. Nel portare avanti una politica laica, il movimento di liberazione curdo ha sempre sottolineato la specifica repressione storica e le politiche di genocidio contro gruppi come gli aleviti, gli ezidi e gli armeni in Turchia.

Sakine Cansız, una delle co-fondatrici del PKK e figura di spicco del movimento delle donne curde, assassinata il 9 gennaio 2013 a Parigi insieme a Fidan Doğan e Leyla Saylemez, era una donna curda alevita. Anche Fidan Doğan era una donna curdo-alevita, era infatti di Maraş.

Dato questo contesto storico, si pone attualmente la legittima questione a Maraş sul motivo per cui il governo dell’AKP, che afferma ripetutamente di avere il 50 per cento della popolazione dalla sua parte, sembra non trovare posto per i rifugiati sunniti nelle sue roccaforti, ma invece trova necessario insediarli nei territori abitati dai curdi-aleviti, su cui ancora pende l’ombra dei massacri e dei traumi del passato.

È fondamentale capire che la rabbia tra gli aleviti non è diretta contro i rifugiati ma contro le motivazioni infide e neanche così dissimulate dello Stato. I residenti del villaggio Terolar sottolineano nelle loro manifestazioni che la loro comunità, che conosce bene il significato della guerra, dello sfollamento, dello sradicamento e della minaccia alla vita, è solidale con i rifugiati siriani che hanno bisogno di un rifugio, ma che essi lottano contro il governo che approfittando della miseria umana impone ancora una volta un genocidio culturale contro gli aleviti. Hanno paura che lo stato tenti di istigare conflitti motivati religiosamente insediando i rifugiati arabi sunniti nelle regioni curdo-alevite fra tutti i posti possibili, costringendo gli aleviti fuori dalle loro abitazioni rimaste. Considerando che il governo turco riceve sei milioni di euro dall’Unione Europea per il soccorso ai profughi, e l’immensa quantità di risorse dello Stato e dell’esercito riversate nella distruzione delle città curde causando la morte di centinaia di civili massacrati, non sembra che risorse, logistica e mezzi economici costituiscano un problema per le calcolate politiche di Erdoğan di insediamento dei rifugiati.

Cambiamento demografico, sviluppo capitalistico e guerra totale

In questo contesto, le motivazioni ideologiche, politiche e religiose delle politiche anti-alevite dello Stato appaiono ovvie. Tuttavia, non si possono comprendere questi sviluppi senza considerare gli interessi politici ed economici di lungo termine che l’AKP sta tentando di ottenere attraverso i cambiamenti demografici.

Dall’estate del 2015, lo Stato turco ha lanciato una feroce campagna militare in Kurdistan, nella quale non solo sono state assassinati centinaia di civili davanti agli occhi della comunità internazionale, ma in cui sono anche state sistematicamente distrutte case, siti storici carichi di significato e infrastrutture. Presto è diventato chiaro che uno degli scopi dello Stato è costruire edifici dell’Amministrazione per lo Sviluppo Abitativo (TOKI) in queste aree, avviare un processo di gentrificazione o insediare rifugiati siriani, dopo aver sradicato i curdi da queste regioni. È in particolare il caso del distretto di Sur di Amed (Diyarbakır), considerato patrimonio mondiale dell’Unesco, che è stato ridotto in polvere e cenere dall’esercito turco, costringendo più di 20.000 persone a fuggire. Sradicando fisicamente gli abitanti di queste aree, con ristrutturazioni radicali delle infrastrutture e la gentrificazione per il turismo si impone loro una seconda misura genocida distruggendo la loro cultura dalla faccia della terra.

Inoltre da tempo Erdoğan lascia intendere di garantire ai rifugiati siriani la cittadinanza turca per raccogliere sostegno nella regione e mobilitare potenziali voti. Allo stesso tempo, minaccia di spogliare della cittadinanza i “simpatizzanti del terrorismo”, una descrizione che abbraccia un ampio spettro della popolazione, inclusi gli accademici. Lo scopo di questa doppia mossa è chiaro: un vasto cambiamento demografico di pari passo ad ambiziosi progetti di infrastrutture capitalistiche per ricolonizzare economicamente il Kurdistan.

Naturalmente mettere i rifugiati contro i curdi in generale, e contro gli aleviti in particolare è un tema molto delicato che l’AKP cerca di sfruttare per i suoi guadagni. È facile accusare di razzismo contro i rifugiati chi resiste a queste tattiche speciali di guerra che includono la costruzione di campi per rifugiati. Insediare i rifugiati in zone specifiche e promettere loro persino la cittadinanza è una strategia abile di Erdoğan per corrompere l’Europa, aumentare la sua popolarità tra i blocchi sunniti conservatori nella regione, e ingaggiare un attacco genocida culturale e fisico di vasta scala contro chiunque non rientri nella sua narrazione neo-Ottomana, specialmente la popolazione che compromette la sua unione tra il nazionalismo turco e il conservatorismo islamista.

Questa è la ragione per cui è impossibile analizzare le politiche sui rifugiati della Turchia separatamente dalla sua guerra totale al Kurdistan come regione e alla cultura alevita in particolare.

Allo stesso modo, non è realistico separare la distruzione materiale degli organismi curdi dal piano strategico economico neoliberista dell’AKP, combinato con la sua nostalgia imperiale. Proprio come le leggi militari e i decreti governativi che legittimarono la devastazione militare di Dersim nel 1938, i coprifuoco militari e le azioni omicide extragiudiziali di massa in luoghi come Cizre, Nusaybin, Yüksekova, Sur e Silopi sono oggi la continuazione della sintesi turca di nazionalismo, militarismo, capitalismo, patriarcato e religione politica. Nello spirito di ISIS, Erdoğan sta promuovendo un inesorabile cambiamento demografico in Medio Oriente attaccando le antiche culture che incarnano identità e stili di vita ecologici e centrati sulle donne. Il fatto che soprattutto le donne siano in prima linea nella resistenza a Terolar è indicativo dell’attaccamento delle donne curdo-alevite alle loro terre e ai valori ecologici ad esse associati.

L’Europa è connivente in questa guerra, sia attraverso la vendita di armi da parte di singoli stati alla Turchia, sia attraverso il silenzio sugli abusi dei diritti umani ed il fascismo nonostante ne sia ben consapevole, sia attraverso i futuri interessi in investimenti economici e in giochi di guerra. I cosiddetti “valori europei” vengono svenduti nel traffico di esseri umani e nei mercati delle schiave del sesso in Turchia, nel lavoro dei bambini rifugiati, nella perdita eterna del patrimonio culturale mondiale e nel Mediterraneo, il cimitero comune turco-europeo per migliaia di profughi annegati.

La resa alla difficile situazione dei rifugiati degli stessi stati, istituzioni e sistemi che hanno causato tutte queste guerre è una vergogna per tutti coloro che credono nella libertà, nella democrazia e nei diritti umani. Ma dal punto di vista degli oppressi, resistenza e auto-difesa proseguono.

Con le parole di Seyît Riza, che guidò la ribellione a Dersim e fu giustiziato dallo Stato nel 1937: “Non ho potuto far fronte ai vostri trucchi e alle vostre menzogne, questo è diventato un problema per me. Ma non mi sono piegato di fronte a voi. Che questo sia un problema per voi”.

Di Dilar Dirik

Dilar Dirik è un’attivista curda e un dottorando presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università di Cambridge. Il suo lavoro prende in esame il ruolo della lotta delle donne in particolare e la costruzione della libertà in Kurdistan. Scrive regolarmente sul movimento di liberazione curdo per diversi media internazionali.

Pubblicato in origine su Telesur

  • Traduzione a cura di Rete Kurdistan Italia
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