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Kurdistan

Visita alla linea del fronte-Report

In mattinata, dopo la Conferenza Stampa davanti al Parlamento, partiamo alla volta di Kirkuk , città del petrolio , e precisamente a un campo base dei partigiani del P.K.K. campo base che era un’ex caserma di Saddam Hussein. I partigiani del PKK sono circa 150 di cui 45% donne. Abbiamo un incontro con il comandante del campo di nome Selim e con la comandante Bahar. Ci informano che il PKK è in questa base da quando è arrivato DAESH (ISIS) chiamati dai “peshmerga” e dal popolo di kirkuk. Con i peshmerga di Talabani (presidente del partito PUK – Patriotic Union Kurdistan ) ci sono buoni rapporti mentre ci sono difficoltà di coordinamento con i pershmerga del PDK. Durante i combattimenti con DAESH il PKK ha avuto due caduti contro i 500 documentati delle forze di DESH: ciò è dovuto all’alta professionalità dei partigiani del PKK, la cui presenza nel campo risale all’agosto del 2014.

I rapporti problematici con i peshmerga del PDK sono dovuti al fatto che il PDK ha rapporti con la Turchia alla quale il governo del Kurdistan-iracheno retto da Barzani vende il petrolio, privilegiando , quindi, il rapporto con i nemici rispetto ai partigiani del PKK. Kirkurk oggi è libera e le forze di DAESH sono a circa 20 chilometri. Nella città non ci sono problemi di sorta. La comandante Bahar interviene per affermare che l’intervento della Russia è positivo perché permetterà un contenimento della Turchia, fino ad ora – di fatto – molto favorevole a DAESH, anche se non ufficialmente.

La comandante pensa che l’azione del PKK potrà ostacolare anche il progetto di dividere l’Irak in tre parti. Infatti nella zona del Kurdistan DAESH è stato sconfitto, però nella città di Mosul e nelle zone limitrofe DAESH rimarrà sino a che sarà utile alle potenze occidentali. Partiamo quindi alla volta del fronte, a circa venti km dalla base, passando in pick – up attrezzati vediamo villaggi distrutti sia da DAESH che dai bombardamenti della coalizione. Ci fermiamo dietro l’ultimo terrapieno ad un chilometro di distanza dalle forze di DAESH.

Qui salutiamo i militari del PKK schierati su una lunga fila; sono uomini e donne che dimostrano il loro entusiasmo per la nostra presenza. Riprendiamo la discussione con il comandante Selim che ci fa presente che, pur riconoscendo il ruolo del PKK, le nazioni occidentali considerano ancora il PKK come organizzazione terroristica. I membri del PKK sono però fiduciosi perché sanno che i popoli non hanno questo giudizio nei nostri confronti. Dopo aver cantato insieme a guerriglieri e guerrigliere “Bandiera Rossa” e “Bella Ciao” torniamo alla base ove illustriamo lo scopo della nostra missione. In questo luogo si erano soffermati alcuni membri della delegazione che non hanno partecipato alla puntata sulla linea di difesa.

Scelta importante perché si è avviato un proficuo e approfondito ragionamento con circa una quindicina di combattenti sia uomini che donne, spaziando su tutte le tematiche più scottanti del momento: dall’intervento russo, alle varie regioni di origine (sempre dei vari Kurdistan) dei presenti, fino al concetto stesso di lotta che prima di tutto deve essere politica per il cambiamento delle opinioni più retrograde e non disponibili all’innovazione e poi, ma solo dopo e solo per difesa (come nel caso dell’attacco DAESH), con l’uso delle armi.

Idea ribadita in un altro momento dell’interessante incontro da uno dei comandanti secondo cui: “Noi non combattiamo solo per Kirkuk e per i Kurdi ma riteniamo che la nostra lotta sia di difesa dei principi fondanti della stessa umanità”.

Casa Rossa

Casa Rossa” di Sulaymaniyah (Irak nord-orientale) è conosciuta in tutto il mondo tranne che in Italia… Solo pochi eletti hanno potuto visitarla in questi dieci anni di apertura e, invece, dovrebbe essere una tappa conosciuta, come quelle che – giustamente – caratterizzano il “giorno della memoria” qui da noi. Si tratta del più duro e tremendo carcere di Saddam Hussein ora trasformato in “museopermanente” con immagini di migliaia di detenuti (sia maschi che femmine, il più giovane di soli 14 anni) che per circa trent’anni si sono avvicendati in questa vera e propria casa di costrizione e malvagità. C’è di tutto, dalle scritte disperate sulle pareti, riprese e integrate da spiegazioni su supporti informatici con più lingue di fruizione, alla riproduzione in grandezza naturale di statue in gesso che rappresentano detenuti e detenute in gabbie di punizione oppure direttamente sottoposte a tortura.

Vi è, inoltre, una descrizione dettagliata di tutto il periodo della storia dell’Irak e del Medio Oriente dal 1945 ad oggi. Il tutto arricchito con bombardamenti di villaggi (molto dello stesso Iraq – ma non “fedeli”- , con “pulizie etniche” di cui nessuno ha mai saputo nulla, come quella che interessato i turcomanni, i curdi a nord e molte città sciite a sud. Ciò che più impressiona sono le motivazioni assurde di detenzione che potevano portare anche alla pena capitale per un’inezia oppure a lunghi periodi di detenzione senza processo e senza spiegazioni particolari. Per chi ha avuto modo di visitare i “centri del ricordo” annessi ad Auschwitz o a Dachau (oppure il significativo percorso allestito presso la ex scuola di Bullenhuserdamm ad Amburgo) potrà fare gli opportuni confronti e le debite riflessioni. Stessa crudeltà, stesso annullamento dell’altro, stessa insensibilità verso chi era privato dello status di essere umano.

Sulaymaniyah è oggi una città moderna e commercialmente ben organizzata, a grande maggioranza curda ma con precise leggi di garanzia e sostegno per le “etnie” di vario genere presenti nella sua provincia. Qui si spendono soldi per aiutare a mantenere i propri caratteri originari, le proprie tradizioni, la lingua, le modalità di costruzione degli oggetti di artigianato fine, anche se a beneficiarne saranno i non curdi … e sono molti: arabi, assiri, turcomanni, yezidi, persiani, e ancora altri. La rivalutazione di queste culture, prima “gassate” o imprigionate, ha portato commercio e turismo di alto livello, studiosi di tutto il mondo, oltre a migliaia di discendenti di questi antichi popoli che, dopo decenni, possono ritornare a celebrare presso i loro cari e nei loro territorio cerimonie religiose, di aggregazione sociale e di rivalutazione culturale.

 

La delegazione italiana nel Sud Kurdistan e in Rojava

 

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