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Kurdistan

Niente di nuovo sul fronte orientale

È con un chiaro riferimento al romanzo autobiografico “Niente di nuovo sul fronte occidentale” di Erich Maria Remarque pubblicato nel 1929, che si apre questo articolo. E, infatti, a sentire le persone parlare e a leggere le notizie degli ultimi giorni sembra che nulla di nuovo stia accadendo sul fronte orientale turco. Uno scenario già visto troppe volte. E ciò che accade qui, a Dersim, una cittadina di poco più di 30.000 abitanti nell’est della Turchia, tristemente famosa per il genocidio della popolazione curda-alevi del 1937-38, non ottiene le luci dei riflettori. E non serve molto affinché quei giorni tristi e bui della storia di Dersim tornino alla mente. È ciò che accade da circa due giorni, da quando, il 2 agosto, il governatore di Tunceli assieme agli alti ranghi militari dell’area hanno deciso di istituire 14 “zone di sicurezza”, che dal 4 al 19 agosto saranno interdette al pubblico, giustificandole con l’argomentazione della sicurezza della popolazione “turca” dai continui attacchi dei guerriglieri del partito illegale curdo PKK.

È curioso come nella nota si parli di popolazione turca, come a voler negare, ancora una volta, le diversità della popolazione Dersimli che abita quest’area, a maggioranza alevi e curda. La decisione è stata presa in seguito ad una serie di eventi che si sono verificati in città e nei distretti vicini. In realtà nulla di eccezionale è successo negli ultimi giorni, rispetto ciò a cui è normalmente abituata la popolazione locale. Ci sono state delle auto bruciate e sono continui gli spari dagli elicotteri cobra che hanno ripreso a sorvolare la zona, accompagnando i soliti elicotteri che 24 su 24 sorvolano la città di Dersim.

Venerdì 31 luglio è stata interrotta la strada tra Dersim ed Erzincan, città a 120 km circa, con un attacco dei guerriglieri che ha dato fuoco a 4 camion lungo la strada. Le forze di sicurezza hanno chiuso la via e, dopo 5 giorni, ancora non è possibile attraversarla. Ma il culmine è avvenuto domenica sera intorno alle 23, quando una bomba è esplosa in pieno centro città in un cesto dell’immondezza in un ristorante. Una delle zone più frequentate di Dersim, soprattutto in questo periodo in cui gli emigrati fanno rientro in città, e periodo in cui la gran parte delle persone preferisce frequentare i locali in città, considerati più sicuri,  piuttosto che quelli in periferia o in montagna. È la prima volta che un evento così accade a Dersim ed è la prima volta che nei volti degli abitanti di questa città si è riflessa la paura e la preoccupazione.

Nessuno si aspettava un attacco simile, che, fortunatamente, non ha provocato né morti né feriti. E che, diversamente da quanto sta accadendo nelle altre zone del Kurdistan, non ha ottenuto alcuna visibilità a livello di media, né telegiornali né giornali ne hanno parlato, neppure quelli locali. Questo è strano. Sicuramente un simile gesto non è stato compiuto dalla guerriglia, che non metterebbe a rischio la vita della popolazione. Si è trattato di un attacco del Daesh oppure, come spesso accade, di una bomba piazzata ad hoc dalle forze di sicurezza per riversare le colpe sul PKK? Ancora questa domanda non ha ottenuto una risposta. Quello che è certo è che l’esplosione è avvenuta dopo la dichiarazione in riferimento alle “zone di sicurezza” e che, quella sera, pochissime auto di militari e polizia circolavano in città. Una città dove si stima la presenza di un militare ogni due abitanti.

L’interdizione delle aree, non solo a Dersim (ben 7), ma anche 2 ad Ovacık e Hozat, così come 1 a Çemişgezek, Mazgirt e Nazimiye, la presenza di elicotteri cobra che periodicamente si alzano in volo e delle auto da guerra corazzate che si vedono negli ultimi giorni lungo le strade non fanno presagire nulla di positivo. Tutti si aspettano una grande operazione militare. L’aver annullato il festival che ogni anno si tiene in città, il Munzur Festival, quest’anno stabilito per il 7-8-9 agosto, cancellato in seguito all’attentato di Suruç del 20 luglio scorso e alla morte di uno degli organizzatori del festival durante l’attentato, è stata una scelta ragionata e corretta. La possibilità di attentati da parte del Daesh, che considerano la popolazione alevi inferiore e uno dei nemici da colpire, così come la popolazione yezidi, al fine di creare uno stato islamico unificato e guadagnarsi più velocemente il paradiso, non è assolutamente una possibilità remota. D’altro canto la finta pace e calma che si respira negli ultimi due giorni sembra il preludio alla tempesta.

 

Simona Deidda- Tunceli/Dersim

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