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Rassegna Stampa

Turchia: continua il processo di pace, il Pkk annuncia il ritiro

[divider] 26 aprile 2013[/divider] L’intervista ad Altan Tan: “nel giro di 2-3 mesi il ritiro dovrebbe essere completato”

L’annuncio è arrivato ieri come previsto: ed è stato il capo militare del Pkk, Murat Karayılan, che dalle montagne di Qandil in Iraq settentrionale ha fissato pubblicamente all’8 maggio l’inizio del ritiro dei miliziani dal territorio turco.

Il processo di pace tra lo storico leader curdo Abdullah Öcalan e il governo presieduto da Recep Tayyip Erdoğan – dopo 30 anni di guerra civile e 40000 morti – procede dunque senza apparenti intoppi: il cessate il fuoco tiene, è stato posto uno stop effettivo ad atti di terrorismo e ad azioni di guerriglia; questa è però la prima fase, il disarmo completo e la smobilitazione del Pkk arriveranno solo alla fine: Karayılan ha infatti promesso rappresaglie immediate nel caso di attacchi da parte dell’esercito.

Abbiamo parlato di questi eventi di portata storica e del futuro dei rapporti tra turchi e curdi – in occasione di un incontro organizzato dalla Fondazione dei giornalisti e degli scrittori (Gyv) – con Altan Tan: deputato del Partito della pace e della democrazia (Bdp, pro-curdo) per Diyarbakır nel sud-est, curdo e conservatore d’ispirazione islamica, membro della commissione parlamentare che sta scrivendo la nuova costituzione, membro della delegazione che qualche settimana fa ha incontrato Öcalan nel carcere sull’isola di Imralı.

Tam è moderatamente ottimista: la volontà politica c’è, le condizioni interne e il contesto internazionale sembrano maturi, gli errori del passato sono stati stavolta evitati; ritiene che “nel giro di 2-3 mesi il ritiro dovrebbe essere completato”. Fondamentale, secondo lui, è stato il coinvolgimento diretto di Öcalan: che nello scorso settembre ha scritto a Erdoğan per proporgli un accordo, “per fare insieme la storia”, “per rimodellare insieme il Medio oriente”.
In precedenza, durante i negoziati di Oslo del 2009-2010 poi falliti, il leader politico del Pkk era stato tenuto ai margini: e le trattative condotte dai servizi segreti turchi – il Mit guidato dal fedelissimo del premier Hakan Fidan, responsabile operativo anche di quelle attuali – direttamente con i comandanti militari.

Per il deputato originario di Midyat sono però decisivi i cambiamenti nello scenario regionale: da una parte la situazione in Siria, “perché è impossibile disfarsi di Assad senza la collaborazione dei curdi e per avere la loro collaborazione è prima necessario risolvere il problema curdo in Turchia”; dall’altra gli interessi energetici della Turchia nella Regione autonoma del Kurdistan iracheno, “perché la scoperta del petrolio la trasformerà nella nuova Dubai e la presenza del Pkk creerebbe grossi problemi per gli uomini d’affari turchi”.
In più, Erdoğan vuole diventare il primo presidente della Repubblica eletto dal popolo nel 2014: e per farlo “ha bisogno dell’aiuto del Bdp nell’approvare la nuova costituzione, visto che il Chp kemalista e l’Mhp ultra-nazionalista non hanno intenzione di sostenere la riforma presidenziale”.

In cambio del ritiro e poi del disarmo del Pkk e dei numeri del partito pro-curdo in parlamento, le richieste sono tre e tutte da inserire nella nuova costituzione: una definizione non etnica di cittadinanza completamente diversa da quella attuale, l’istruzione nella propria lingua madre, forme di concreta autonomia amministrativa”. Ha confessato che “non ci sono garanzie, non ci sono accordi firmati”: ma se il primo ministro non soddisferà le richieste dei curdi, “la costituzione potrà farsela da solo” (senza i voti del Bdp, per l’appunto, l’Akp da solo non ha i numeri per approvarla) e il separatismo armato tornerà a essere un’opzione concreta.
Non è invece particolarmente preoccupato dalle proteste dei nazionalisti turchi: “che gridano e cercano di fare paura, ma alla fine sono innocui”; quello che più conta, secondo lui, è che la grande maggioranza dei curdi – in totale, 15-20 milioni – non pensa più a uno stato indipendente ma preferisce diritti culturali e politici in uno stato unitario: del resto, “sarebbe impossibile tracciare i confini di questo stato perché moltissimi curdi sono ormai emigrati verso la Turchia occidentale, tre milioni solo a Istanbul”.

Altan Tan è poi entrato nel dettaglio dell’autonomia desiderata: e l’idea è quella di una completa trasformazione della Turchia, di una decentralizzazione su base federale mediante la creazione di 15-20 regioni (ha parlato di modello tedesco o americano); “di queste 15-20 regioni, 3 o 4 possono essere quelle del sud-est a maggioranza curda come Gaziantep, Malatya, Diyarbakır: senza avere poteri speciali rispetto alle altre, con competenze comunque in tema di istruzione, di sanità, di polizia, di tassazione e con i governatori eletti direttamente dal popolo”. Ma questa riconfigurazione istituzionale della Turchia, per l’esponente del Bdp, può essere il primo tassello di “un nuovo Medio oriente su cui sta scrivendo un libro.

Il suo è uno scenario di lungo periodo, “che è possibile realizzare ma con grandi difficoltà”; pensa al superamento dell’eredità coloniale anglo-francese attraverso lo smantellamento degli stati-nazione e la creazione di una molteplicità di città-stato come Gaziantep, Malatya, Diyarbakır, Aleppo, Damasco, Adana, Istanbul e molte altre: niente più confini e il ripristino di quel pluralismo etnico e religioso che – fino alla disgregazione dell’Impero ottomano – nel vecchio Medio oriente era la regola, a partire proprio dalla sua città – tradizionalmente multi-etnica e multi-religiosa – di Mediyat. Uno spazio di convivenza e di “storia condivisa” comunque diverso da quello “neo-ottomano” vagheggiato dal ministro degli esteri Ahmet Davutoğlu, “imperialista e fondato sulla superiorità della Turchia”. Il primo passo da fare verso questo nuovo Medio oriente è la soluzione definitiva del problema curdo; per tutti gli altri, Altan Tan si affida alla Provvidenza: “Inshallah”.

Giuseppe Mancini – lindro.it

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