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Interviste

La questione kurda, tra luci ed ombre

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Intervista ad Erdelan Baran, Presidente di UIKI Onlus – Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia

Come e quando è stato creato l’UIKI? Quali sono i suoi principali obiettivi?

L’UIKI (Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia, www.uikionlus.com) è stato creato nel 1999 con lo scopo di essere un ponte tra l’Italia e il Kurdistan. Cerchiamo e traduciamo notizie, report e analisi realizzate dalle associazioni per i diritti umani per aggiornare la rete italiana sulla situazione kurda.

Organizziamo e partecipiamo a seminari e conferenze sui diritti umani, in Italia e nel mondo, e aiutiamo le persone e le organizzazioni che vogliono realizzare progetti in Kurdistan. Infine, sosteniamo i giornalisti e altri operatori dell’informazioni che hanno bisogno di fare ricerche sul Kurdistan.

Diamo anche una mano agli studenti che preparano tesi di laurea e, in ambito diplomatico, dialoghiamo con i partiti e i politici aggiornandoli sugli sviluppi della questione kurda. Il nostro ufficio è un centro informativo. Esistono anche altri uffici informativi sul Kurdistan nel mondo e collaboriamo tra noi perché facciamo lo stesso lavoro. Abbiamo anche una rete di solidarietà per il Kurdistan, “Rete Kurdistan” (www.retekurdistan.it) e diamo visibilità al loro lavoro.

Stiamo assistendo a una grande mobilitazione e a molte campagne per la libertà di Öcalan e per il rispetto dei diritti umani, anche in Europa. Qual è la risposta da parte dell’opinione pubblica? E quali le reazioni politiche in Italia?

Si tratta di una campagna strategica. Qualche anno fa ne abbiamo fatta un’altra alla quale aderirono 3 milioni e mezzo di kurdi. Ma questa volta stiamo proponendo qualcosa di diverso e stanno firmando anche altre persone. Ora si è diffusa in tutto il mondo: in America latina, Europa, Sud Africa, India. Sono stato al World Social Forum a Tunisi e abbiamo raccolto 5mila firme in 5 giorni. I tunisini hanno dimostrato grande solidarietà, interesse e curiosità per Öcalan.

Anche i giornali e la televisione tunisina ne hanno parlato. Ma non stiamo solo raccogliendo firme, stiamo anche parlando alla gente di Öcalan e della situazione politica. Ci sono oltre 10mila prigionieri politici in Turchia e in Kurdistan e le persone vogliono sapere cosa gli accade. La campagna sta andando bene ed è come una reazione a catena. Stiamo ricevendo supporto anche da molti partiti politici, dato che anche loro ora comprendono che la realtà di Öcalan non può essere ignorata nel Medio Oriente.

E ormai comprendono anche che i prigionieri politici sono inaccettabili in un paese che sta cercando di entrare nell’Unione europea. Il nostro obiettivo è raggiungere almeno 5 milioni di firme. Questo sarà presentato alla corte per i diritti umani come un dato di fatto. Da un altro punto di vista, questa mobilitazione dimostra anche la solidarietà di molte persone per Öcalan e il primo obiettivo dei kurdi è liberare il loro leader.

Raccogliamo molte firme dagli italiani. Molti di loro conoscono la situazione e hanno una simpatia per Öcalan e per il Kurdistan. Molti partiti politici o membri di questi partiti non vogliono firmare perché sono influenzati dal governo turco che ha stretto accordi economici e militari con l’Italia.

Potrebbe darci qualche informazione riguardo la presenza kurda in Italia?

Ultimamente molti kurdi stanno lasciando il paese per via della crisi economica che causa problemi a restare in Italia a molte famiglie. Crediamo che ci siano al massimo 5mila kurdi sul territorio, per la maggior parte residenti a Milano. Molti rifugiati e richiedenti asilo hanno problemi burocratici.

Il governo turco non rilascia loro i documenti necessari a spiegare la loro situazione, come nel caso delle vittime di tortura, o i resoconti sulla violazione dei diritti umani. Molta gente non riesce a portare qui i propri famigliari perché l’ambasciata li blocca. Così devono trovare altre soluzioni burocratiche che richiedono molto tempo. E molta gente non può tornare in Kurdistan perché è ricercata dal governo. Molti di loro non vogliono fare il servizio militare perché rischierebbero di essere mandati in zone dove sono in corso operazioni militari contro la loro stessa gente.

La situazione in Turchia è molto seria, con centinaia di avvocati, sindacalisti, sindaci, politici e attivisti per i diritti umani in prigione. Nel 2012 l’Associazione turca per i diritti umani ha denunciato migliaia di casi di violazioni solo nella regione kurda…

Tutte queste persone che sono in prigione sono accusate di terrorismo. Credo che nessuno al mondo capisca la definizione di terrorismo del governo turco. Chiunque non la pensi allo stesso modo dell’AKP (il partito al governo, ndT) è accusato di questo. La situazione non è diversa dal colpo di stato militare del 1980 e questo non stupisce, dato che la costituzione turca oggi è ancora la stessa, e non è democratica.

Abbiamo bisogno di una nuova costituzione che garantisca il diritto alla libertà e il diritto alla libertà di parola. L’Associazione per i diritti umani evidenzia che la violenza è drammaticamente aumentata negli ultimi anni, specialmente da quando il governo ha dato più potere alle forze di polizia.

Ma vorrei chiarire che i kurdi non sono attaccati solo nella regione kurda, ma anche in Europa. L’assassinio di tre donne il 9 gennaio scorso a Parigi ne è un esempio. I kurdi e le loro associazioni sono discriminati in molti posti. Abbiamo molti attivisti kurdi detenuti nelle prigioni europee. Poche settimane fa Yilmaz Orkan, che prima lavorava per l’UIKI, è stato arrestato a Bruxelles mentre andava al World Social Forum. Il membro del nostro congresso nazionale, Adem Uzun, è in una prigione francese e molti altri attivisti sono detenuti nelle carceri tedesche.

Ma non solo i kurdi, anche gli stranieri solidali con il popolo kurdo sono spesso criminalizzati. Ad Antonio Olivieri, dell’associazione “Verso il Kurdistan”, è stato negato l’accesso a Istanbul mentre andava a festeggiare il Newroz lo scorso 17 marzo, una settimana prima che il traduttore Francesco Marilungo fosse espulso. L’avvocato di Öcalan, Arturo Salerni, è stato espulso dalla Turchia lo scorso anno. Si tratta di un crimine organizzato contro i kurdi e contro coloro che sono solidali con loro.

In Siria i kurdi sono stati spesso vittime di violenze, negazione dei diritti umani fondamentali e di pericolose strumentalizzazioni. Qual è la loro posizione nella guerra civile siriana?

I kurdi non supportano né Assad né l’opposizione perché entrambi hanno una visione sbagliata della Siria. Non sono mai stati riconosciuti dalla costituzione siriana, come in Turchia. In effetti, non hanno nemmeno la cittadinanza siriana, solo una carta di identità con su scritto “straniero”.

Ci sono stati più di duemila prigionieri kurdi nelle carceri siriane che hanno subito torture e condizioni terribili. I civili sono stati vittime di genocidi, l’ultimo dei quali avvenuto nel 2004. I kurdi siriani credono nell’unità del paese piuttosto che nella sua frammentazione. Non supportano nessun intervento esterno, ad esempio da parte della NATO o di altri paesi.

Il loro progetto è creare uno stato democratico autonomo per diversi popoli in Siria, dato che crediamo che ci siano persone con diverse identità e valori come la cultura, la musica, la religione che devono essere protetti. I kurdi oggi proteggono molte aree, dove non vivono solo loro. Ma il regime di Assad e i gruppi dell’opposizione continuano ad attaccare i civili. Presto risponderanno a questi attacchi con il loro esercito di auto-difesa, che crediamo stia crescendo ogni giorno di più. Non possono solo restare a guardare. Chi potrebbe accettare questa ingiustizia?

Esiste un’associazione che monitori la condizione dei kurdi in Iran? Come è la situazione nel paese?

Esiste la “Human Rights Watch” e l’“Iran Human Rights Documentation Center” e “Amnesty International” che sono note organizzazioni di monitoraggio. La situazione in Iran è brutale. C’è un regime molto violento nel paese: molti attivisti sono ancora impiccati pubblicamente perché accusati di blasfemia, ma in realtà si tratta di attivisti politici. Molti di loro sono minorenni. E tante persone sono condannate a morte. Il problema è che è molto difficile stare in Iran e compiere un monitoraggio interno perché il governo potrebbe arrestarti ed espellerti con facilità. Il paese ha anche chiuso la porta ai diplomatici consentendo l’accesso solo a chi può essere controllato dal regime.

E in Iraq?

Esistono molti piani su quel territorio perché è ricco di petrolio e molti paesi sono coinvolti con le loro compagnie. La domanda è: chi si sta accaparrando le risorse che appartengono agli abitanti di questa zona? Siamo felici che la nostra gente possa autogovernarsi in Iraq, ma l’autogoverno non significa che gli altri prendono le risorse che appartengono al popolo. Sono passati 10 anni dall’occupazione ma non sono cambiate molte cose in Kurdistan: ci sono ancora ingiustizie. Quattromila donne sono scomparse durante la guerra e nessuno sa più nulla di loro. Come spiegarlo?
Il governo turco continua a bombardare i villaggi, ma le reazioni del governo regionale kurdo sono deboli. Dovrebbero essere più critiche con il governo turco, non è così che ci si autogoverna: questo è un negoziare con l’ingiustizia.

Negli ultimi mesi, sembra che i negoziati politici tra il leader del PKK in carcere, Öcalan, e lo stato turco stiano andando avanti. Può dirci qualcosa in proposito?

Öcalan lo scorso 21 marzo, il Newroz, ha dichiarato il cessate il fuoco. È stata una cosa importante da fare in questo momento. Siamo in una congiuntura politica diversa, ora. I kurdi sono giunti a un punto in cui non possono più essere ignorati. Ma il governo risponde con più violenza. Questo dimostra ancora una volta, e in modo più chiaro, nei media internazionali che sono i kurdi a volere la pace, non il governo. Le politiche turche contro i kurdi hanno fallito. I 10mila che hanno aderito allo sciopero della fame in carcere e in Europa e il supporto internazionale ricevuto per questo sono cose che il governo dell’AKP non può cancellare.

Quel che ha detto Öcalan, “è tempo di parlare con le parole, non con le armi”, dimostra che lui sta offrendo una possibilità per avviare un dialogo pacifico. Inoltre ha detto “chiedo alle forze di guerriglia di uscire dal confine”. Questo non deve essere confuso con il deporre le armi. Hanno solo cambiato posizione. I kurdi sono sempre pronti a difendersi. Molte cose che Öcalan ha già detto altre volte ora sono finalmente comprese dal governo. Ha proposto una commissione di “saggi”, che è quello che il governo ha avviato oggi, finalmente. Credo che la gente dovrebbe leggere la Roadmap di Öcalan con grande attenzione: suggerisce un ottimo modo per risolvere la questione in modo democratico.

Oltre alle trattative politiche, è necessario anche avviare un processo di apertura e comprensione a un livello sociale e culturale, dopo decenni di propaganda nazionalista? Cosa proponete?

La nostra proposta è stata ripetuta molte volte in parlamento. Si tratta di creare una piattaforma dove la gente possa confrontarsi sull’accettare i diversi colori e le loro posizioni. Invece di sposare la paranoia del nazionalismo. Il BDP (“Peace and Democracy Party”) è così diverso: al suo interno puoi trovare deputati kurdi, arabi, tuchi, assiri… e ciascuno di loro può esprimersi liberamente. Ci sono kurdi anche nel partito AKP e nessuno di loro ha detto nulla quando il governo ha lanciato le bombe su 34 civili, tra cui 17 bambini, a Roboski il 28 dicembre 2011. Che significa questo? Che hanno paura. Se hai paura di esprimerti in un partito, allora è inutile farne parte.

Recentemente si è festeggiato il Newroz, il “Capodanno kurdo”. Quali sono le sue origini? Quali i suoi significati mitici e simbolici? Quali le sue implicazioni politiche oggi?

Il Newroz, che si celebra il 21 marzo, significa “nuovo giorno” ed è una tradizione nata nel 612 a.C. Si festeggia in molti paesi del Medio Oriente e dell’Asia, ma le sue origini sono kurde. Esistono molte storie diverse a riguardo, ma la più interessante è quella mitica. C’era una volta un re, chiamato Dehak, che opprimeva molto il suo popolo. Un giorno venne colto da un malore e il medico gli disse di curarsi mangiando il cervello dei bambini. Kawa, l’uomo di ferro, non volle dargli in pasto suo figlio e decise di metter su il popolo contro di lui. Andò a incontrare il re dicendo che, quando lo avrebbe ucciso nel suo castello sulla montagna, avrebbe appiccato il fuoco e quello sarebbe stato il segnale per il popolo per attaccare gli altri soldati. Kawa uccise il re e liberò il suo popolo. La situazione non è molto diversa da quella di oggi: i kurdi sono ancora oppressi e hanno subito molti genocidi nella loro storia. Per noi, chiunque lotti per la liberazione dei kurdi svolge la stessa missione dell’uomo di ferro, Kawa. Ogni anno ci sono stati pesanti attacchi alla folla durante la celebrazione del Newroz. Quest’anno per la prima volta è andato tutto bene. Riguardo alla data del 21 marzo, poi, è importante ricordare che quello è un giorno in cui ci sono 12 ore di buio e 12 ore di luce e da quel momento in poi la luce tenderà ad aumentare. È per questo che parliamo di “nuovo giorno”. La luce come il fuoco e il sole sono elementi simbolici della filosofia kurda: portano lo spirito della pace. La più efficace lotta politica durante il Newroz risale a quando uno dei fondatori del PKK, Mazlum Dogan, che era nella stanza della tortura nel carcere di Diyarbakir, si diede fuoco il 21 marzo 1982. Era un periodo in cui il regime turco praticava moltissimo la tortura. Dopo questa azione, tutti i prigionieri politici hanno cominciato a opporre resistenza riuscendo a fermare la tortura.

Da allora, il 21 marzo non è più solo una celebrazione, ma anche il simbolo della resistenza contro l’ingiustizia. Mazlum Dogan disse “Un nuovo giorno nascerà dalla mezzanotte di oggi, quando vedi questo fuoco sarai libero”. Sono esattamente le stesse parole dell’uomo di ferro Kawa.

Federica Araco

BabelMED

http://ita.babelmed.net/cultura-e-societa/114-italia/13153-la-questione-kurda-tra-luci-e-ombre.html

Foto di Laura Santopietro, TdM photos

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